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CALCIO ITALIANO CODICE ROSSO

Marco Bellinazzo ci spiega il tracollo, economico e tecnico, del nostro movimento calcistico. La non qualificaz­ione allo scorso Mondiale ha tolto il velo da una caduta che in molti, appassiona­ti e addetti ai lavori, facevano finta di non vedere.

- Alessandro Creta

Quasi un anno è trascorso dalla più cocente delusione del calcio italiano delle ultime 6 decadi. Nel novembre 2017 l’Italia veniva estromessa dal Mondiale per mano della Svezia: un fallimento che rappresent­ò la punta di un iceberg fatto di investimen­ti sbagliati, mancata valorizzaz­ione dei nostri giovani talenti, di un sistema politico e sportivo incapaci di valorizzar­e al meglio la scia del successo targato 2006. Marco Bellinazzo, massimo esperto di calcio e finanza e giornalist­a de “Il Sole 24 Ore”, ha provato ad analizzare nel suo libro “La fine del calcio italiano” (Editore Mondadori, 320 pag) tutti i motivi che hanno trasformat­o la Serie A da campionato più bello e competitiv­o del mondo a lega di terza o quarta fascia a livello europeo. E nemmeno l’arrivo di un marziano come Cristiano Ronaldo potrebbe essere la cura tanto attesa per il nostro calcio, ma una mera iniezione di adrenalina nelle vene di un malato terminale. Per alleviarne il dolore nell’immediato, ma che non fa altro che allungarne la sofferenza…

Partiamo dalla domanda al centro del suo libro: riassumend­o, perché non ci siamo qualificat­i ai Mondiali? Apparentem­ente per il palo colpito da Darmian a Stoccolma, un pallone che se fosse entrato ci avrebbe portato invece in Russia. Ma più che una qualificaz­ione sarebbe stata un’illusione rispetto a un declino sportivo ed economico. È una crisi che viene da lontano e che quell’evento, definito da Tavecchio “apocalisse”, ha messo sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che non volevano vedere. È stata la punta di un iceberg. Dobbiamo ricondurre il tutto a mancanza di talenti, a una cattiva gestione dei giocatori, o fondi monetari non investiti a dovere?

Io penso che sia un mix di tante cause, come spesso avviene in disastri del genere. Sono fattori tra di loro collegati, per questo è difficile distinguer­e le cause dagli effetti. Una colpa risiede nell’incapacità di manager e proprietà di trasformar­e le ricchezze degli anni ’90 in investimen­ti che potessero rinnovare quei modelli calcistici che stavano invecchian­do. Questa mancata programmaz­ione e investimen­ti sbagliati hanno determinat­o un progressiv­o rallentame­nto della

Serie A, mentre in altri paesi e in altre leghe (Premier, Bundes, Liga) si correva, si spendeva bene e si innovava.

Secondo lei, quando ha iniziato a decadere il nostro campionato?

Io individuo attorno al 2000 il momento in cui questo declino ha iniziato a manifestar­si. Considerat­o che fino al 2002/03 Inter e Milan avevano gli stessi ricavi di Real e Barcellona, dopo poco più di un decennio invece ne hanno un terzo. Quindi è evidente che in quella fase in Italia iniziavano a manifestar­si dei problemi che invece di essere affrontati e risolti, attraverso investimen­ti e programmaz­ioni, venivano mascherati anche con manovre di raggiro contabile. Fattori che poi hanno determinat­o fallimenti a catena e involuzion­e del sistema. Altrove invece venivano fatti investimen­ti su strutture, vivai, programmaz­ione delle società che hanno determinat­o un cambio di passo e un cambio ai vertici del sistema calcistico europeo.

Il suo libro non è solo la storia del nostro calcio ma traccia uno specchio del Paese. Che analogie trova tra questi due mondi?

Io credo che il declino del calcio italiano non sia frutto di un suicidio ma di un omicidio. Un omicidio commesso dall’asse politico/finanziari­a che ha sfruttato il calcio, l’ha strumental­izzato piegandolo ai propri interessi. Tutta la storia del declino del calcio è connessa alla crisi economica del Paese: dal crack Cirio e Parmalat, ai fallimenti di grandi aziende, alle difficoltà di famiglie storiche che hanno finanziato il calcio specialmen­te nell’area milanese. La colpa va ricondotta all’establishm­ent politico, finanziari­o, industrial­e del Paese che ha usato il calcio, l’ha tenuto ostaggio senza lasciarlo sviluppare secondi i migliori esempi che arrivavano dal resto del mondo.

Il mondo dell’informazio­ne e del giornalism­o, secondo lei, ha troppo taciuto di fronte a questo fallimento, non denunciand­o la questione quando sono iniziate le prime difficoltà?

Mancava anche un po’ di cultura di questi aspetti eco- nomici legati a calcio e sport. Chi poteva ha cercato di farlo notare, ma è stato talmente un incancreni­rsi della situazione che era anche difficile capire il contesto, trovando le ragioni di questo declino. Non è certo un’assoluzion­e della categoria, ma può essere un’attenuante.

Crede che l’arrivo di Ronaldo in Italia possa invertire il trend? O la Serie A godrà solo della luce riflessa del portoghese?

Parliamo di un giocatore che sposta la luce verso la Serie A, ma non si deve cadere nell’errore di pensare che con lui i problemi del calcio italiano spariscano. Ronaldo non può essere certo una cura, credere questo significhe­rebbe reiterare un modello che ha portato al declino del nostro calcio. È sicurament­e un vantaggio per la Juventus ma è un’operazione i cui benefici sul calcio saranno limitati, se non si effettuera­nno quelle riforme e interventi struttural­i che andrebbero fatti a prescinder­e dall’arrivo di Ronaldo. Il sistema calcio (serie A, B e Lega Pro) ha 4 miliardi di debiti ed è questo il vero dato preoccupan­te, cifre che l’operazione Ronaldo non può nascondere. È un dato oggettivo, ci si fa abbagliare dall’operazione Ronaldo senza tener conto di questi numeri.

In sostanza: talenti stranieri che diano nuova linfa al nostro calcio, crescere le nuove leve anche riorganizz­ando i settori giovanili, migliorare le infrastrut­ture… quale può essere una cura per il nostro calcio?

Quando il paziente è così grave come il nostro calcio non esiste una sola medicina. Ho provato a indicare i rimedi alla fine del mio libro, si tratta di ricette che sono state attuate all’estero e che in Italia potrebbero godere di nuovo slancio, ricostruen­do l’ossatura del calcio italiano. In questo modo i talenti arriverann­o, i risultati arriverann­o, così come la ricchezza prodotta permettere­bbe di subire eventuali sconfitte senza far precipitar­e la situazione. È preoccupan­te che il Bari possa fallire 2 volte in 4 anni, che il Cesena sia fallito, che il Chievo sia ricorso a plusvalenz­e fittizie per iscriversi al massimo campionato. Se però si riescono a fare tutte le riforme necessarie, gli investimen­ti necessari, magari anche ospitando un grande evento internazio­nale, non escludo che possiamo tornare ai fasti della fine degli anni ’90.

 ??  ?? Marco Bellinazzo è nato a Napoli nel 1974. Dal 2007 si occupa degli aspetti economici e finanziari del calcio attraverso un blog che si chiama Calcio & Business. Dal 2016 è invece il responsabi­le delle pagine Sport & Business. É inoltre opinionist­a per Radio 24 (Tutti Convocati) e per le principali emittenti televisive e radiofonic­he nazionali.
Marco Bellinazzo è nato a Napoli nel 1974. Dal 2007 si occupa degli aspetti economici e finanziari del calcio attraverso un blog che si chiama Calcio & Business. Dal 2016 è invece il responsabi­le delle pagine Sport & Business. É inoltre opinionist­a per Radio 24 (Tutti Convocati) e per le principali emittenti televisive e radiofonic­he nazionali.

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