DAL CAIRO AD ABU SIMBEL
Poco più di 1100 chilometri separano Il Cairo da Abu Simbel: una distanza che gli esploratori dei secoli passati percorrevano utilizzando quella che ancora oggi è la più importante via di comunicazione dell’Egitto: il Nilo. Un tragitto affascinante, ricco di emozioni, che offriva quella dose di avventura e di stupore, testimoniata dalle tante cronache di viaggio di D.W. Nash, J. Gordon, J. Malcolm, Flaubert, solo per citarne alcuni.
Lasciati i panni di questi viaggiatori d’altri tempi, e affidandomi nella mani della moderna offerta turistica, mi ritrovo in poche ore di volo nella capitale egiziana per iniziare il mio viaggio. Ed eccomi finalmente in Egitto, un paese che mi ha sempre sfiorato ma per il quale non ho mai avuto il giusto stimolo per visitarlo. Forse anche per colpa dei tanti, troppi documentari visti che me lo hanno fatto in qualche modo conoscere senza averci mai messo piede.
Con i suoi venti milioni di abitanti, definirei Il Cairo una città davvero “faraonica”, infinita, dove il caos e il rumore sembrano costituire i due ingredienti essenziali di una esotica pietanza insieme ad altri che attendono di essere scoperti e gustati. Mi colpisce l’impatto con que- sta moderna megalopoli dove, però, è possibile ritrovarsi immersi in dimensioni d’altre epoche. È ciò che accade mentre assaporo l’atmosfera islamica del quartiere medievale d’epoca fatimide, con il suo pittoresco bazar di Kahn El Khalili e le antiche moschee; oppure salendo sino alla cittadella fortificata, una piccola oasi di pace che sovrasta la vastità dell’agglomerato urbano con la superba mole della moschea di Muhammed Alì. Di qui ammiro all’orizzonte, come per miracolo, i lontanissimi e immensi profili delle tre piramidi di Giza: una sensazione di stupore accoglie questo mio primo impatto visivo con la civiltà faraonica, reso ancor più affascinante dal contrasto tra questi monumenti costruiti oltre 4500 anni fa e l’“oceano” urbano cairota che li lambisce. Un’emozione assoluta… In questo momento capisco di trovarmi in un luogo davvero speciale.
Immergendomi in un traffico paradossale e senza regole, nel quale i cairoti, per qualche potere innato, riescono a destreggiarsi con la più abile disinvoltura, raggiungo i siti archeologici che circondano la capitale, Menfi, Saqquara e Giza, non senza aver prima visitato il superbo Museo egizio. Luoghi mitici, legati alle più antiche dinastie che governarono l’Egitto e dove è possibile seguire le fasi che hanno caratterizzato lo sviluppo delle piramidi… Monumenti che, nonostante abbia imparato ad apprezzare sin da piccolo dai tanti libri, mi lasciano inevitabilmente a bocca aperta per la loro assoluta matematica perfezione, per la purezza e la grandiosità immensa delle forme che poco hanno a che fare con l’umana dimensione… E stiamo parlando di immensi monumenti funebri, quasi del tutto privi di ogni elemento decorativo, edificati unicamente per ospitare le spoglie di alcuni faraoni e delle loro mogli. Quale mente abbia potuto concepire queste arditezze architettoniche mi è difficile da comprendere: mi sento perso davanti a tanta magnificenza… E ancora una volta ripenso a quegli antichi esploratori e a quello che deve essere stato il loro stupore nel veder apparire dal nulla queste superbe architetture. Anche se più di quattro millenni sono trascorsi e la città si è centuplicata, quasi fagocitando la piana di Giza, il fascino di queste piramidi resta immutato: apoteosi di una fase storica che ancora oggi lascia sbalorditi.
Ma il tempo corre e anziché affidarmi ad una avventurosa crociera in feluca per raggiungere il profondo sud, mi ritrovo in un ben poco romantico aeroporto dove, dopo mille controlli di sicurezza, mi imbarco alla volta di Luxor. E già mi sento emozionato all’idea di ammirare le vestigia dell’antica Tebe – l’antico nome di Luxor – che successe a Menfi come nuova capitale del regno egizio.
Luxor è senza dubbio è uno di quei luoghi che difficilmente si dimenticano. È qui, ancor più che alle piramidi di Giza, che respiro appieno lo splendore dell’antica civiltà egizia in tutta la sua maestosità. La presenza di alcuni dei più bei templi e sepolture faraonici rende questa città e i suoi dintorni assolutamente unica: il tempio di Amon – che ho anche il privilegio di ammirare dal ponte della motonave in cui mi sono imbarcato –, quelli di Karnak, il numero infinito di ipogei reali nascosti nella Valle dei Re e delle Regine, senza dimenticare lo scenografico tempio della regina Hatschepsut, quello di Habu e i colossi di Memnone. Luoghi in cui la smisurata dimensione architettonica dei templi e la stupefacente ricchezza decorativa degli ipogei reali mi rivelano una maestria tanto ingegneristica quanto artistica che non ha eguali. Passeggiando tra le sale ipostile di questi templi – specialmente a
Karnak – ho la sensazione di trovarmi in una magica foresta di pietra dove ogni colonna, di smisurate dimensioni, è sapientemente incisa con figurazioni e geroglifici che ripetono, all’infinito, simbolismi e miti dell’antico Egitto. Senza dimenticare le numerose sale decorate, le statue colossali, gli obelischi e i viali di sfingi che adornano questi templi e che li rendono tanto unici quanto spettacolari.
Mentre la grandiosità più appariscente connota queste immense costruzioni templari, al contrario, la due valli che ospitano gli ipogei reali non lasciano intravedere nulla dei loro preziosi tesori che si celano nella nuda roccia: attraverso lunghi corridoi scavati nella pietra si arriva ad una serie di ambienti più ampi e articolati, tutti integralmente decorati e colorati, sino a raggiungere il sancta sanctorum, l’ultima delle sale che conteneva la tomba. Tra queste è possibile ammirare anche l’ipogeo di Tutankhamon il cui strabiliante corredo è conservato al Cairo. Ancora oggi, grazie allo stupefacente stato di conservazione delle decorazioni e dell’originale cromia, queste antichissime tombe sono una testimonianza eccezionale del linguaggio artistico egizio… Basterebbe, per tutti, visitare la tomba di Nefertari, nella Valle delle Regine, per restare attoniti.
Sazio e quasi stordito dall’incredibile ricchezza di Luxor e dei suoi dintorni, mi imbarco in una comoda motonave in rotta verso Assuan, dal cui ponte inizio a godermi anche le bellezze naturalistiche del Nilo, lungo il quale si svelano generosi paesaggi verdissimi, dominati dalle palme, contornati da dune desertiche e popolati da una ricca fauna.
Prima di raggiungere Assuan, faccio tappa a Edfu, dove si trova il tempio di Horus, famoso per essere uno dei più belli e meglio preservati dell’intero Egitto. Mi colpiscono la perfezione geometrica dei piloni della scenografica entrata, come anche la bellissima sala ipostila con le immense colonne interamente decorate e il cortile principale ricco di statue. Altra tappa, altro tempio. Sono a Kom Ombo dove visito il tempio di Sobek e Haroeris; anche questo, come il precedente, di età tolemaica: ancora colonnati, serie infinite di incisioni e geroglifici che ai miei occhi continuano ad apparire misteriosi nonostante le pazienti spiegazioni della mia guida nel tentativo di svelare, almeno in parte, i misteri della fascinosa cultura faraonica.
Tra un imbarco e l’altro, dove ho il piacere di navigare sul Nilo “piatto come un fiume d’olio”, come lo descrisse Flaubert, mi godo il sole e i rilassanti paesaggi, nell’attesa di raggiungere Assuan, in pieno territorio nubiano: ultima tappa di questo esotico itinerario.
Che dire della immensa diga costruita negli ’60 del secolo scorso? La visita di Assuan non può, infatti, non iniziare dalla sua diga. Un progetto anch’esso faraonico, all’origine
di non pochi problemi per via dell’inevitabile rischio di vedere sommersi molti templi dell’antica Nubia a causa della creazione del bacino artificiale del lago di Nasser. Ed è qui, ad Assuan, che scopro un’altra mirabile impresa ingegneristica, grazie anche alla bravura tutta italiana: lo smantellamento di molti templi, prima della costruzione della diga, ricollocati ad una maggiore altitudine per salvarli dalle acque del lago di Nasser. Il tempio tolemaico dell’isola di File, poco distante da Assuan, ne è un superbo esempio: spostato da un’isola all’altra, è stato ricostruito in maniera perfetta. Mi trovo davanti ad un “falso storico”, ma di quanto ingegno e quanta sapienza hanno fatto prova ingegneri e architetti nello smantellare pezzo dopo pezzo l’enorme tempio, per ricostruirlo esattamente come era nella vicina isola di File. Stesso destino è toccato ai notissimi templi di Abu Simbel, che raggiungo dopo 280 km di estenuante traversata nel deserto. I due templi rupestri realizzati in onore di Ramses II e di sua moglie Nefertari furono smembrati e situati 60 metri più in alto, con la creazione di due colline artificiali; a ridosso di queste ultime furono ricollocate le immense facciate arricchite dalle statue colossali di Ramses e Nefertari. Ma ciò che mi stupisce ancor di più è la riedificazione a regola d’arte dei complessi ambienti interni, tutti sfarzosamente decorati. Una ricostruzione a dir poco titanica come titanici furono gli sforzi per costruire nel XIII secolo a.C. questi monumenti autocelebrativi ai confini dell’impero.
Difficile descrivere le emozioni provate ad Abu Simbel, che con le grandi piramidi di Giza rappresentano un’icona assoluta dello splendore faraonico, e, purtroppo, anche l’ultima tappa del mio viaggio. Quest’ultima esperienza mi inebria non poco, come d’altronde anche la visita delle fantasie architettoniche del villaggio nubiano, nei pressi di Assuan, espressione decisamente più povera ma altrettanto suggestiva e caratteristica di uno dei tanti aspetti di questa parte dell’Egitto. Ed è giunto il momento di ripartire. Dopo gli ennesimi controlli all’aeroporto di Assuan, ritorno nella mia “città eterna” con una strana consapevolezza: rimettendomi nei panni di quegli antichi esploratori, mi sento quasi privilegiato per aver potuto ammirare le vestigia di una civiltà che ha raggiunto il suo massimo splendore quando Roma era solo un anonimo villaggio di capanne…