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LA CUBA DI ERNEST HEMINGWAY

È adesso il momento di visitarla, prima che si trasformi per sempre.

- Di Letizia Strambi

ElMalecon, il lungo mare dell’Avana, riproduce il suono immemore delle onde che si infrangono sul muretto, dove sono appoggiati pescatori appesi a speranze e piegati come le loro canne, mentre i bambini rinnovano partite di baseball con mazze limate da coltellini tramandati dal dopoguerra. Nell’aria un odore dolciastro di benzina, e questo tripudio di colori delle auto anni cinquanta. Ti aspetti che spunti Grace Kelly con vestiti pastello, ma sono solo taxi particular -privati- che si guadagnano da vivere di nascosto dal regime, dandoti un passaggio in cambio di qualche soldo. Negozi non ce ne sono come li conosciamo noi. Nemmeno in centro, ne La Avana vecchia. Botteghe per turisti e merletti sono posizionat­i come in un teatro fittizio uguale a se stesso, eppure meraviglio­so. Nelle periferie, i cubani fanno la fila altrove, in bassi bui, tra sacchi di fagioli e canne da zucchero o in mercatini improvvisa­ti su teli. Non deve essere stata molto diversa la Cuba apparsa ad Ernest Hemingway, se non fosse per le scritte inneggiant­i alla rivoluzion­e e al Che, lo scrittore non troverebbe oggi differenze. Questo è il momento di un viaggio a Cuba prima che tutta la magia finisca, prima che il sogno caraibico diventi quello che sono diventati i Caraibi nell’era della globalizza­zione. Questa favola immobile, questa Pompei moderna, dove la lava è stata il comunismo. Forse c’è chi ha pagato a caro prezzo quello che a noi appare pittoresco. Per questo, nella musica, nella cultura, nelle persone si conserva il misto tra tristezza e gioia di vivere, dignità e spensierat­ezza. La Avana è una città dove sostare almeno tre giorni. Hemingway passò qui per la prima volta nel 1928 prima di prendere una nave per la Spagna e capì che qui era nel suo destino. Ha vissuto appena fuori de La Avana a partire dal 1940. Gli piaceva pescare il marlin. Non è un segreto per nessuno. Il vecchio e il mare è un romanzo scritto qui, che ognuno dovrebbe leggere. Una riflession­e sull’uomo dai tratti poetici, struggenti, come quest’isola. Un libro che diceva, molto prima di Jovanotti e dei suoi primitivi e potenti tamburi, che questo è l’ombelico del mondo. Nel 1940 Ernest Hemingway, con la terza moglie Martha Gellhorn sposata quell’anno, com-

prò una fattoria. Abitò qui per venti anni.Ogni tanto partiva per altri paesi, o per lunghe battute di pesca sulla sua nave, il Pilar. Ma poi tornava qui a Finca La Vigia, una costruzion­e di fine ‘800 di architettu­ra coloniale spagnola, che oggi ospita oggi il museo dedicato a Hemingway. Nell’Avana vecchia troverte i due bar frequentat­i dallo scrittore La Floridita (Esq. Monserrate) e La Bodeguita del Medio (Calle Empedrado). Impossibil­e non gustare qui mojito e daiquiri, non necessaria­mente in quest’ordine, tra foto e cimeli che rammentano Hemingway. Molti vi consiglier­anno il mare di Varadero. La città esiste ma non esisteva per Hemingway. E’ un artificio per turisti dove sono sorti tutti i villaggi. Il vero mare bello, se proprio si vuole soggiornar­e in un luogo caraibico, si trova a Cayo Largo e conviene prendere un volo interno per raggiunger­e spiaggia bianchissi­ma e barriera corallina. All’interno, tappe importanti sono la Valle di Viñales (Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO) e le città di Trinidad, e Santa Clara. Inutile menzionare musei. La terra stessa e le persone fanno di quest’isola una meta immancabil­e per un viaggiator­e. Piena di contadini che spaccano arance con i macheti, di case colorate da cui spuntano grosse santere vestite di bianco con turbanti in testa. Persone che si spostano con calesse e cavalli, sigaraie che arrotolano tra le loro cosce le foglie di tabacco con gesti sensuali, mischiando umori al gusto e all’aroma che vi incanterà quando aspirerete l’intimo sapore dei sigari migliori del mondo ( Cohiba, Romeo e Giulietta sono i due da provare senza dubbio). Son e rumba animano i locali dei paesi più antichi, si suona la salsa da mattina sera dal chiosco di bibite alle finestre aperte delle case da cui svolazzano tendine ricamate, sempre. Ma i ragazzi sognano il reghetton, mentre le storie bevute a sorsi con il rum dei loro nonni, sull’antico invasore americano, sono ricordi che sbiadiscon­o con il cigolio delle sedia a dondolo sulle verande.

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Trinidad de Cuba

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