DE CHIRICO A FERRARA
Ovvero la Metafisica come sorgente delle avanguardie.
Ilrapporto tra la pittura Metafisica di Giorgio De Chirico ( 1888 – 1978) e la città di Ferrara è il punto di partenza di un’interessantissima mostra a Palazzo dei Diamanti che, con più di ottanta opere, indaga l’influenza che questa corrente artistica ebbe sull’arte del Dadaismo, del Surrealismo e della Nuova Oggettività. La pittura di De Chirico, come noto, oltre a influenzare i vicini Carlo Carrà e Giorgio Morandi, che ne alimenteranno la corrente in Italia, fu occasione di riflessione per diversi artisti stranieri. Celebri le riprese di alcuni suoi temi, come quello dell’occhio da parte di Man Ray, Salvador Dalí e Max Ernst, il manichino rifatto da George Grosz, o il tema del “quadro nel quadro”, portato alle estreme conseguenze concettuali da René Magritte. Proprio cento anni fa, De Chirico e il fratello Andrea si arruolano per partecipare alla guerra e raggiungono Ferrara per prestare servizio nella Fanteria. I due fratelli, nati in Grecia da genitori
italiani, dopo aver conosciuto città come Firenze, Monaco, Torino e Parigi, hanno già alle spalle precoci esperienze artistiche, di pittore per il maggiore Giorgio e di musicista per il minore, già noto con lo pseudonimo Alberto Savinio. Nella città emiliana vengono subito introdotti nei salotti intellettuali dal giovanissimo Filippo de Pisis, e tra i tanti entrano in contatto con Carrà, pittore dal passato futurista, che nel 1917 condivide con De Chirico l’esperienza dell’ospedale psichiatrico militare per malati di nevrosi di guerra presso la Villa del Seminario. L’incontro di De Chirico con Ferrara, che dura circa tre anni, porta nella sua pittura una materia corposa e più pastosa, oltre che le architetture della città, di un particolare color rosso, come le torri del Castello Estense. È in questi scenari urbani, e in altri spazi sospesi in una realtà ingannevole e astratta (esiste, ma è silenziosa e vaga), che l’artista introduce i suoi emblematici – ed enigmatici – oggetti inanimati che cantano l’assenza dell’umano. Sono manichini, forme geometriche, sculture classiche, rocchetti, biscotti; nature morte delle quali alle volte si possono riconoscere i simboli chiari del quotidiano, ma dove tutto è calato in una dimensione misteriosa, energicamente fuori contesto. Inoltre, la luce è innaturale e le condizioni spaziali sono alquanto ardite. Uno spostamento di senso ed ecco lo spaesamento dell’uomo moderno, da Freud ai nostri giorni. Di fatti è proprio per l’eterno enigma della rappresentazione, una rappresentazione estremamente mentale, metafisica, che la poetica di De Chirico cattura ancora il pubblico contemporaneo.