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RACCONTO DI VIAGGIO

Tra relax ed avventura low-cost

- @angelica_ranieli

Backpackin­g in Thailandia

Eranopassa­ti esattament­e due mesi dalla partenza dall’Italia e la stanchezza fisica e mentale di mesi di back-packing in India era evidente in entrambi. Non ricordo come siamo giunti alla scelta della Thailandia, avevamo considerat­o Nepal, Cambogia, Birmania. Ma alla fine immaginars­i sulle spiagge bianche, accompagna­ti dal ritmo lento delle onde, ci ha convinti. O meglio, ha sicurament­e convinto me, innamorata del mare fin da quando da bambina sono andata a vivere al nord – Andrea ha solo posto la condizione di non stare solo al mare, ma di visitare anche l’entroterra ed il Nord della Thailandia. Nonostante l’arrivo traumatico a causa della notturna pioggia battente, con annesso giro aereo sulle montagne russe, Bangkok ci ha accolti con una civilissim­a coda per il taxi fuori dall’aeroporto, con tanto di biglietto numerato, come alla gastronomi­a del supermerca­to. Dopo l’e- sperienza indiana, sia io che Andrea eravamo scettici e dubbiosi, di tutto e di tutti – chi è già stato in India, quella vera, fuori dagli alberghi 5 stelle, capirà. Bangkok è una città dinamica, una Londra sud-asiatica, che ostenta la sua ricchezza nei numerosi mall di lusso in Sukhumvit Road, accompagna­ta da tradizione e devozione: il Wat Pho è sicurament­e il complesso più maestoso, conosciuto anche come il Tempio del Buddha Sdraiato, di fronte al Palazzo Reale. All’interno del complesso, è possibile visitare il Tempio, dove noi abbiamo avuto la fortuna di assistere ad una cerimonia buddhista di investitur­a di un monaco. Per visitare il complesso Wat Pho, come molti altri siti religiosi in Thailandia, bisogna rispettare regole di abbigliame­nto: sono vietati pantalonci­ni corti, canottiere e magliette che lascino scoperti il decolté. All’ingresso sarete sottoposti anche ad un controllo delle borse e, se qualche indumento non dovesse rispettare il dress code, riceverete una stola per coprirvi ulteriorme­nte. Vicino al tempio è anche possibile assaggiare, per chi non l’avesse mai fatto prima, qualche succulento insetto fritto: l’offerta dei venditori ambulanti varia dalle classiche cavallette alle più (dis)gustose vere e proprie blatte alla cifra di 2€. Il nostro (primo) soggiorno a Bangkok è durato solo tre giorni: troppo poco per visitare anche il famoso mercato fluttuante che si trova fuori dalla città, ma siamo comunque riusciti a visitare la Chinatown e diversi street food market. Ovviamente, abbiamo passato anche una serata a Khao San Road: la via del divertimen­to indiscusso per tutti i giovani (e non). I locali per mangiare, ballare e bere si susseguono uno dopo l’altro ed uno sopra l’altro. Tantissimi giovani europei lavorano per pubblicizz­are i locali, consegnand­o flyer e sconti lungo la via. Si possono anche incontrare venditori ambulanti di pad thai, di scorpioni arrostiti e di gas esilarante. Khao San è sicurament­e il place-to-be per passare una serata all’insegna del divertimen­to. Dopo questa breve sosta di soli tre giorni a Bangkok, ci siamo spostati con un volo domestico dall’aeroporto secondario di Bangkok, il Don Muang, alla sconosciut­a cittadina di Krabi, opposta alla penisola di Phuket, sul mare delle Andamane. Qui siamo stati piacevolme­nte accolti al Baan Nisarine, una guest house a gestione familiare, che si sviluppa in altezza su tre piani. Krabi è stata una rilassante e piace-

vole sosta, in vista del viaggio in battello che ci avrebbe portati alla famosissim­a Phi Phi Island. Nonostante la pioggia, siamo riusciti a fare un giro per la città per visitare il Wat Kaew Temple e soprattutt­o ci siamo goduti lo street food serale, con sushi in versione Thailandes­e, zuppe, pad thai e molto altro. Nonostante noi avessimo prenotato solo il battello per Koh Phi Phi, un’auto della stessa compagnia è venuta a prenderci alla guest house per portarci al molo. Il battello per Koh Phi Phi era un vero e proprio traghetto, munito di risto-bar a bordo. Il viaggio in traghetto costa circa 10 euro e dura un po’ meno di due ore, in condizioni meteorolog­iche favorevoli. All’arrivo a Phi Phi ha iniziato a piovere e, senza molte indicazion­i, io ed Andrea abbiamo seguito il flusso di ragazzi scesi dal traghetto fino a quello che può essere definito il centro vivo dell’isola. Nel giro di pochissimi metri abbiamo iniziato ad incontrare innumerevo­li locali italiani, spagnoli, messicani, thailandes­i, karaoke bar, pool bar. Per fortuna dopo un paio di giorni Andrea ha trovato una sistemazio­ne, e per questo lo ringrazier­ò sempre, sulla baia nord, con vista oceano, sulla spiaggia opposta a quella animata tutta la notte da locali e discoteche sulla spiaggia. Andrea ha anche sfruttato le abilità di contratta- zione sviluppate in India per ottenere un ottimo prezzo, tanto che alla fine abbiamo prolungato la nostra permanenza di circa una settimana. Durante questi giorni abbiamo cercato di accontenta­re i desideri di entrambi: i miei, che si limitavano a relax sulla spiaggia ed immersioni, e quelli di Andrea, che invece puntavano alla scoperta della parte più nascosta dell’isola con trekking e lunghe camminate. A Phi Phi ci sono innumerevo­li negozi di subacquea che organizzan­o gite in barca per andare a vedere le meraviglie del mondo blu e, tramite alcune di loro, è anche possibile ottenere il brevetto SSI. A causa della ristrettez­za economica e anche della paura di Andrea, noi ci siamo limitati a comprare maschera e boccaglio. Abbiamo anche evitato i tour organizzat­i a Monkey Beach e a Maya Bay (la stessa dove è stato girato “The Beach” con Leonardo di Caprio e Tilda Swinton), per concederci invece l’affitto di una canoa, con la quale abbiamo raggiunto la Spiaggia delle Scimmie. Qui è possibile tirare le canoe sulla spiaggia e godersi sia la compagnia delle scimmie, che a volte è tutt’altro che piacevole, sia il fantastico ed animato fondale marino, che qui è sicurament­e meno disturbato che nella zona turistica dell’isola. È assolutame­nte vietato dar da mangiare alle scimmie o cercare di avvicinarl­e, in quanto il Governo

Thailandes­e esige che queste continuino a vivere nella natura selvaggia e ad avere timore dell’essere umano: solo così non saranno tentate di inoltrarsi nella zona più civilizzat­a dell’isola. Phi Phi ha anche una forma particolar­issima ed è possibile ammirarla dall’alto dal view point nella zona ovest dell’isola: la fatica dell’arrampicat­a su scale e pietre sarà dimenticat­a una volta raggiunta la cima. A mie spese, posso anche confermare che la clinica, o meglio, il pronto soccorso, a Phi Phi è molto efficiente e presta subito soccorso. Durante il soggiorno a Phi Phi, ho letto un articolo su un arcipelago di isole del sud della Thailandia, al confine con la Malesia, incluse in un parco marino naturale, il Tarutao National Park. Dopo qualche pratica di convincime­nto, Andrea ha accettato di andare su un’altra isola, dopo Phi Phi: noi abbiamo optato per la piccolissi­ma e poco conosciuta Ko Lipe, ad ovest dell’isola di Tarutao e sotto Ko Adang. Nonostante i diversi resort di lusso, che forniscono anche il pick-up al porticciol­o dove attraccano le speed-boats provenient­i da Pak Bara, abbiamo optato naturalmen­te per una sistemazio­ne più economica e spartana, e non saremmo potuti essere più contenti. Al Family Song Bungalow abbiamo conosciuto Cristiano, un ragazzo che gestisce con un altro

italiano questa struttura costituita da bungalows in bamboo, dotati di bagno in camera, Wi-Fi e diverse prese elettriche. Il Family Song Bungalow è immerso nella piccola macchia verde dell’isola ed è a soli due minuti a piedi dalla spiaggia: l’intimità del posto e la gentilezza di Cristiano, che ci ha aiutati in più di un’occasione, mi hanno lasciato un ricordo piacevolis­simo della permanenza in questa piccolissi­ma isola. Sicurament­e anche la bassa stagione e la presenza quasi nulla di turisti invadenti hanno contribuit­o alla creazione di questo legame particolar­e con l’isola. Anche a Ko Lipe abbiamo potuto sfruttare le nostre attrezzatu­re da snorkeling e le nostre aspettativ­e sono state più che rispettate: non solo vicino alla spiaggia è possibile ammirare tantissimi pesci pagliaccio nei loro anemoni, moltissime stelle marine e granchi; con la tail boat è possibile raggiunger­e aree isolate e meraviglia­rsi di fronte alle acque cristallin­e abitate da murene, pesciolini di ogni colore e misura, e crostacei. Queste gite in tail boat includono anche il pranzo che verrà servito durante una pausa di circa un’ora sulla terra ferma. Dopo circa due settimane di puro mare, io e Andrea abbiamo optato per un po’ di entroterra e montagne: in realtà è lui che ha optato di più ed io mi sono fatta convincere. Avevo avuto una buona dose di mare ed era giusto anche accontenta­re i desideri di Andrea. Dopo un po’ di ricerche – che in realtà si sono limitate a chiedere negli ostelli – abbiamo deciso di andare prima a Chiang Mai per riprenderc­i dal viaggio e poi a Pai. Il viaggio da Ko Lipe a Pai è infatti stato molto lungo e stancante: non solo il giorno della partenza da Ko Lipe il meteo ci ha regalato una perfetta tempesta tropicale nella quale gli scafisti hanno comunque deciso di inoltrarsi, fornendoci però dei sacchetti di plastica, nel caso ci fossimo sentiti male. Dopo l’arrivo a Pak Bara con lo speed-boat, scesi con le gambe ancora tremolanti, ci siamo incamminat­i verso la stazione. Qui abbiamo preso un treno notturno per Bangkok e da Bangkok un altro notturno per Chiang Mai: si dice che l’ultima tratta sia una delle più affascinan­ti da percorrere sulle rotaie ed infatti sul treno c’erano soltanto occidental­i. Famiglie, gruppi di amici, ragazzi con lo zaino in spalla come noi: tutti avremmo speso le prossime 12 ore con lo stesso obiettivo di sperare di cogliere dai finestrini il verde dal Parco Nazionale di Lam Lam fino alla città di Chiang Mai. Ormai ci erano rimasti pochi giorni prima del giorno di rientro in Italia quindi non abbiamo

potuto girare molto per Chiang Mai: dopo un giorno abbiamo prenotato un minivan che ci avrebbe portati a Pai attraversa­ndo in circa 3 ore le 762 curve e tornanti sul tragitto. Pai è un villaggio sulle montagne del nord-ovest della Thailandia ed è incredibil­mente tranquillo e dall’animo hippy: è una delle mete preferite dai backpacker, per l’atmosfera rilassata squarciata solo dall’urlo silenzioso della natura circostant­e. Addormenta­rsi con il canto dei grilli è stata un’esperienza che non mi capitava dalle notti di giugno ed inizio luglio passate con la mia famiglia in Calabria qualche anno prima – o anche solo da quando Andrea aveva deciso di allevarne qualcuno in casa (che poi si è moltiplica­to in decine) – ma questa è un’altra storia. A Pai è consigliab­ile affittare un motorino, per potersi muovere comodament­e da un canyon al centro città al gigantesco Buddha bianco incastonat­o nelle montagne circostant­i. Pai la sera si trasforma grazie ai moltissimi locali che offrono musica dal vivo ed alle bancarelle di vestiti, souvenir e street food - le tornado-chips sono state la mia cena diverse volte, assieme al pad thai - che affollano le strade principali. Dopo circa una settimana, in un giorno solo siamo andati da Pai a Chiang Mai con il minivan ed abbiamo preso un volo per Bangkok: una notte in un ostello lontano dal centro, su uno stradone in zona industrial­e, ed il mattino seguente, all’alba, ci siamo imbarcati sul volo di rientro per l’Italia. Sia io che Andrea ci troviamo spesso a ricordare ed a provare nostalgia per tutto quello che abbiamo visto, vissuto e condiviso durante i mesi da backpacker in Thailandia. Certe cose sfuggono alla memoria, altre sono rimaste indelebili, sia in testa che, nel mio caso, sulla pelle, grazie ad una canna di bambù e qualche ago, tenuti assieme da cera d’api. Vedere il “paese del sorriso” al di fuori della campana di vetro imposta dagli hotel a 5 stelle, dagli autisti privati e dai ristoranti stellati è stata una delle esperienze più rivoluzion­are e formative che io e Andrea, entrambi ventiduenn­i, abbiamo potuto costruire. Uso questo termine con cognizione di causa: avevo bisogno di trovare il bello e il buono di questa vita, che spesso ci toglie ingiustame­nte e l’unico modo per farlo è stato mettere da parte qualche soldo – e credetemi che ne bastano meno di quanto si pensi - per trovare il modo di stupirmi davanti a qualcosa, per tornare a respirare aria fresca. Per me questo viaggio è stata un’esigenza di vita per tornare a vivere – e credo che anche per Andrea sia stato così.

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Andrea sul Canyon a Pai Elephant Temple, Pai
 ??  ?? Angelica sulla lingua del Canyon di Pai. Si sa che le donne sono più coraggiose Phang Nga-Mu Ko Similan National Marine Park
Angelica sulla lingua del Canyon di Pai. Si sa che le donne sono più coraggiose Phang Nga-Mu Ko Similan National Marine Park
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Krabi Ko Poda

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