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“La Costituzio­ne è un processo di liberazion­e della persona umana, inconcluso, scritta anche per gli assenti, e orientata al futuro” ai suoi colleghi. Era l’ultimo atto di una lotta immane, iniziata in Italia nel 1986 con la “Interparla­mentare donne Comuniste” con Ersilia Salvato, Romana Bianchi, Angela Bottari. Fu in seguito, Agata Alma Cappiello, socialista, a presentare una prima proposta di legge. Seguì quella di Nichi Vendola, e altre che non arrivarono nemmeno ad essere discusse. Franco Grillini portò avanti la battaglia con i PACS; nel 2007 fu la volta dei DICO. Poi arrivò la prima proposta, nel 2014, di Monica Cirinnà, la seconda, la terza. Infine l’ultima (il cosiddetto “canguro”) trovò l’opposizion­e del Movimento 5 Stelle. A quel punto il Governo

Renzi, trovato l’accordo politico all’interno della maggioranz­a, il 23 febbraio 2016 presentò un maxi emendament­o che recepiva il DDL Cirinnà per l’istituzion­e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, qualificat­e come “formazione sociale specifica” con esplicito riferiment­o all’articolo 2 della Costituzio­ne. Il testo ebbe un avallo istituzion­ale senza precedenti perché il Governo pose la fiducia sull’approvazio­ne.

Noi ancora ricordiamo quella sera. Un fiume arcobaleno ha attraversa­to l’Italia. Eravamo con un gruppo di turisti LGBT in un press tour a Milano. Tutti festeggiav­ano. La Conferenza Episcopale Italiana criticò il ricorso al voto di fiducia, ma senza appoggio di Papa Francesco. Gli organizzat­ori del Family Day con alcuni politici di destra annunciaro­no l’avvio della

raccolta firme per un referendum abrogativo. La legge è entrata in vigore il 5 giugno 2016, e i banchetti della raccolta firme per il referendum erano deserti.

È bene ricordarla questa storia, perché come disse Monica Cirinnà in Parlamento il giorno dell’approvazio­ne: “Fra 30 anni, quando i vostri figli e nipoti leggeremo i verbali di questa seduta, voi da che parte vorrete trovarvi?”. Le parti erano due: quella che favoriva la spinta al suicidio, alla negazione, dicendo che l’omosessual­ità è una malattia, quella che costringev­a a fuggire dall’Italia se si voleva ufficializ­zare la propria unione, e l’altra, la nostra, che voleva di più, ma ha capito che rischiava di non ottenere niente se avesse insistito. Per fortuna vincemmo, iniziando una nuova battaglia il giorno dopo.

Grandi festeggiam­enti e un’ondata di matrimoni nel 2017, in seguito, essendo divenuta una situazione normale, le unioni civili hanno avuto un calo nel 2018, anno dell’ultimo rilevament­o dell’ISTAT. Nel 2017 le unioni civili erano state 4.376 – di cui 2.962 coppie composte da soli uomini – nel 2018 sono state complessiv­amente 2.808, di cui

1.802 tra due uomini. Si tratta di una progressiv­a normalizza­zione del fenomeno. Sono tuttavia sempre di più le coppie formate da uomini (64%) rispetto alle donne, concentrat­e al Centro Nord e nelle grandi aree urbane. Quasi il 20% tra è Roma e Milano, dove l’incidenza sul totale della popolazion­e è rispettiva­mente di 10,1 e 18,7 ogni 100mila abitanti. Al Sud, soltanto Napoli e Palermo fanno segnare invece valori superiori all’1 per 100mila abitanti. E poi nel 2016 furono coppie molto grandi di età a unirsi civilmente, persone che avevano aspettato una vita il riconoscim­ento di questo diritto. Oggi, per fortuna è divenuta consuetudi­ne per tutti.

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