La freschezza prima di tutto
Questi molluschi vivono vicino alle coste e sono coltivati da secoli nelle lagune. La loro caratteristica fondamentale è la freschezza, devono cioè essere vivi al momento della vendita. Una volta si mangiavano anche crudi e il “cozzicaro” era un personaggio familiare in molte parti del Sud. Oggi, è consigliabile cuocerli sempre e, prima di procedere, lavarli più volte. Soprattutto le vongole, che amano stare dentro la sabbia, vanno spurgate qualche ora in acqua fredda salata. I gusci doppi a chiusura ben salda, come custodie predisposte per proteggere il frutto carnoso cresciuto all’interno, sono una promessa. Per aprirli, basta metterli in una padella a fuoco vivo, magari con un bicchiere di vino bianco e pepe: il calore in pochi minuti metterà a nudo le umide polpe, ma attenzione a non disperdere l’acquerugiola odorosa che fa da culla al crostaceo, ideale per insaporire e condire. I mitili che restano chiusi vanno scartati senza pietà, e così quelli che, aperti, hanno un odore sospetto o sono raggrinziti.
Nei libri di cucina, i nostri protagonisti prendono nomi diversi, spesso dialettali e divertenti. La cozza, chiamata così dal Lazio scendendo verso Sud, viene detta, per esempio, “muscolo” in Liguria, “musciolo” nelle Marche o “peocio” in Veneto. Il suo elegante guscio allungato e levigato, di un nero lucido con sfumature bluastre, racchiude una polpa color albicocca che si presenta più compatta di quella dell’ostrica. Prolifera in popolosissimi grappoli e di solito si abbarbica agli scogli o alle palafitte poste a profondità limitata, grazie a un filamento proteico, il bisso, che viene secreto dai molluschi stessi. Da questo misterioso “filo dell’acqua” si possono ottenere, proprio come da una seta marina naturale, tessuti ormai rarissimi, che nell’antichità erano destinati a personaggi regali. Si presta a preparazioni di esemplare e gustosa semplicità e non disdegna la compagnia di salse con curry e panna, purché non siano invadenti. Quando è di grandi dimensioni, è da provare ripiena di riso, come nella nostra ricetta.
La vongola, che in Liguria e in Toscana (specialmente quando è piccola), viene chiamata anche “arsella” e a Venezia “caparozzola”, appartiene alla famiglia delle “Veneridae”, dedicata alla dea Venere. Quella comune, lunga circa 4 centimetri, ha forma di triangolo arrotondato e valve a coste concentriche irregolari. Non si trova sempre sul mercato, mentre la vongola verace, essendo un prodotto di allevamento, è disponibile tutto l’anno e può raggiungere gli 8 centimetri. Per motivi commerciali, è stata introdotta nell’adriatico una vongola indopacifica, la “Venerupis philippinarum”, che somiglia a quella verace. La polpa di questo mollusco è delicata e non va cotta troppo, altrimenti si indurisce. È ideale per gli spaghetti o linguine, sia in bianco sia con aggiunta di pomodoro; il piatto si presenta in tavola con una parte di vongole sgusciate e altre ancora nelle valve. Ma la vongola è ottima e scenografica anche nelle zuppe, in cui si può azzardare la giusta dose di spezie, come abbiamo fatto noi con la paprica.