Caponate e caponatine
UNA SINFONIA DI MELANZANE E ALTRI ORTAGGI CHE SI FONDE A CAPPERI E UVETTA, MANDORLE E CIPOLLE, ZUCCHERO E ACETO: NOTE OPPOSTE CHE CREANO NUOVE ARMONIE
Se la ricetta della caponata fosse attaccata a un filo e tirandolo si potesse arrivare alla sua origine, ci troveremmo in mano tanti gomitoli quanti sono i suoi diversi ingredienti e le sue diverse storie. Quest’incertezza, comune a tanti piatti di tradizione orale, per la caponata si fa paradosso. A cominciare da quel nome, così unico e così sbagliato. Perché non fa riferimento a nessuna delle verdure o dei condimenti noti, né alla melanzana né all’aceto insomma, e nemmeno a zucchero o sedano, ma all’unico che non c’è: il capone, ovvero il pesce lampuga in siciliano, la cui carne asciutta si giovava, sulla tavola dei nobili, di una salsa agrodolce. Oppure alle gallette dei marinai, così poco appetitose da essere soprannominate con scherno “capponi di galera”, ma che miglioravano parecchio intinte in una salsa saporita. O, ancora, alle taverne portuali, le cauponae in latino, dove si fermavano i marinai. Di certo c’è che la caponata deriva da un piatto marinaresco per eccellenza. Un piatto di cose varie, ma con il pesce tra gli ingredienti principali, melanzane, olive e capperi solo tra i secondari. Come sia accaduto che i secondi abbiano scalzato il primo non è chiaro. Forse fu la solita creatività dei poveri che fece risparmiare su polpi, scampi e aragoste e aumentare la dose delle melanzane e delle cipolle. Fino ad accorgersi che, insieme ad aceto e zucchero, bastavano a dare quell’incredibile sapore. E anzi ne avanzava, tanto da potervi intingere molto pane e soddisfare di gran lunga gusto e fame.