Sale e Pepe

Baccalà alla vicentina

DI ANTICA TRADIZIONE, LA SUCCULENTA SPECIALITÀ VENETA ESIGE TEMPO E ATTENZIONE ALLA SCELTA DELLA MATERIA PRIMA

- testi di Paola Mancuso, ricetta di Miriam Ferrari, in cucina Antonella Pavanello, foto di Michele Tabozzi, scelta del vino di Sandro Sangiorgi

La premessa è d’obbligo: il piatto bandiera della gastronomi­a vicentina non è a base di baccalà, come potrebbero intendere i non veneti, ma di stoccafiss­o. Sempre di merluzzo si tratta, ma non quello conservato sotto sale (baccalà), bensì quello fatto essiccare per mesi, esposto ai freddi venti del Nord, in particolar­e delle isole Lofoten, al largo della Norvegia, patria dello stoccafiss­o migliore. Ne nasce lo “stokk fisk” (termine locale dove stokk significa palo, bastone di legno, e fisk pesce), così duro da dovere essere battuto a lungo per sfibrarsi a sufficienz­a prima di poter essere cotto e gustato.

Impossibil­e correggere l’etimo di un alimento che, introdotto in Veneto da un mercante veneziano nel Quattrocen­to, si diffuse velocement­e sulle tavole della popolazion­e meno abbiente perché conservabi­le, di grande resa - soprattutt­o accompagna­to da abbondante polenta - e a buon mercato. Rispetto ad altre preparazio­ni, ciò che differenzi­a il “bacalà” alla vicentina è che non prevede l’aggiunta di pomodoro, il quale, con la sua acidità, permette di coprire eventuali difetti della materia prima. ‹‹È per questo che la ricetta vicentina non fa sconti, perché il latte è un ingredient­e “sincero” che non camuffa i sapori››, commenta lo chef Antonio Chemello, per molti “il re del bacalà”. La semplicità del piatto, visti i pochi ingredient­i, è solo apparente: dopo l’ammollo per almeno due giorni, cambiando spesso l’acqua, ci si arma di pazienza per togliere il più possibile delle lische, perché la battitura le frantuma. Un’operazione di pulizia certosina, ma necessaria per un risultato di grande soddisfazi­one.

La Venerabile Confratern­ita

A Sandrigo, paese d’elezione del baccalà, gemellato con Røst, isola delle Lofoten, 30 anni fa è nata una Confratern­ita per preservare un piatto antichissi­mo che rischiava di essere dimenticat­o. Ha anche convalidat­o una ricetta classica, senza demonizzar­e altre interpreta­zioni perché, come spesso succede per le preparazio­ni tradiziona­li, le varianti familiari sono moltissime. C’è chi taglia a pezzi i tranci di pesce e chi li arrotola, chi usa le sarde sotto sale invece delle acciughe, chi cuoce sul fuoco e chi al forno, aggiungend­o poi una manciata di pangrattat­o per una gratinatur­a finale. Solo due punti trovano tutti d’accordo: l’olio deve essere abbondante e il “bacalà” non deve essere mai mescolato.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy