Le vie delle galline
L'AFFASCINANTE STORIA DI DUE RAZZE VENETE DA RISCOPRIRE. INTERPRETI DI UNA TRADIZIONE CULINARIA IMPERDIBILE
L'affascinante storia di due razze venete da riscoprire
Il Padovano è citato di rado tra le rotte gourmet, ma di argomenti convincenti ve ne sarebbero molti. Come gli splendidi piatti a base di gallina, la Padovana e quella di Polverara. Una storia che la leggenda fa partire dalla Polonia, Paese da cui Giovanni Dondi, detto dell’orologio per avere progettato l’orologio di piazza dei Signori a Padova, nel Trecento avrebbe portato dei polli dall’aspetto alquanto curioso: un ciuffo di penne sul capo, una barba sul mento, niente cresta o bargigli, zampe color ardesia. La stessa descrizione si trova nella Storia dell’ornitologia di Ulisse Aldrovandi (1599). Testimonanze che suggeriscono un percorso, ma non lo certificano con l'autorevolezza di una fonte storica. Certo è solo che fino ai primi anni '80 del secolo scorso esistevano in tutta Europa allevatori amatoriali, interessati all’allevamento di galline con il ciuffo per ragioni ornamentali.
“Dal 1985 abbiamo aperto alla gallina Padovana la strada della cucina iniziando la selezione presso l’istituto Agrario San Benedetto da Norcia di Padova", spiega Gabriele Baldan, il docente dell'istituto che ha seguito il progetto gestito dall’associazione Pro Avibus Nostris (che sostiene la moltiplicazione della Padovana). "A quel tempo ne esistevano pochi esemplari", continua, "ma negli anni si sono creati gli strumenti commerciali a garanzia del prodotto: la marchetta all’ala per la tracciabilità dell’allevamento, l’etichetta al macello, le cialde in pane, commestibili, destinate all’ospite della ristorazione (a garanzia di originalità, riportano l'effigie della gallina)”. Otto i soci di Pro Avibus Nostris, che allevano a vario titolo, dal produttivo al didattico, la Padovana; cinque i colori del piumaggio autorizzati.
Da qui, in vista delle ville venete dove i Dogi andavano in cerca di frescura estiva, si attraversano i Colli Euganei, che si percorrono lungo un circuito ciclabile di oltre 70 km, e in aperta pianura, tra canali e cascinali, si arriva a Polverara. Negli anni '50 Bruno Rossetto aveva iniziato un’opera di recupero della Gallina di Polverara che oggi Antonio Trivellato, un novello Noè, ha compiutamente realizzato fissando i caratteri propri della razza: "nella Masseria di Polverara cerchiamo di stimolare la conoscenza della cultura agricola attraverso un museo di attrezzi che servivano per i lavori nei campi e numerosi percorsi sensoriali. La Gallina di Polverara è uno dei tasselli che consentono di realizzare il progetto". Si distingue visivamente dalla Padovana per le zampe verdastre e l’assenza di ernia sul capo. "Ma soprattutto", spiega ancora Trivellato, "i diversi incroci hanno permesso di allevare animali molto resistenti alle malattie e pertanto abbiamo bandito gli antibiotici dall’allevamento".
Le razze Padovana e di Polverara crescono entrambe molto lentamente. La carne cruda si presenta soda e salda, le cosce e le sovracosce sono di un intenso color rosso per l’alta attività muscolare, propria degli animali allevati all’aperto. La tessitura della carne è sottile, simile a quella della selvaggina, asciutta. Il gusto non è standardizzato, gradevole e leggero, con un’elegante sapidità. Queste galline raggiungono la piena maturità dopo sei mesi, ma il consumo avviene dopo almeno otto mesi, destinandole a umidi o arrosti. La preparazione tradizionale è alla canavèra: la carne si chiude in un sacchetto adatto alla cottura (originariamente in una vescica di maiale), si aggiunge al centro una canna di bambù che funge da sfiato, si lega il sacchetto intorno a essa e si fa bollire il tutto in acqua per almeno 3 ore. La gallina nel piatto si irrora con il suo brodo, concentratissimo e divino.