Sale e Pepe

Lunga vita a Dumas!

UN BRINDISI A TUTTI NOI E AL GRANDE SCRITTORE, CHE A SORPRESA ALLIETA LE NOSTRE TAVOLE, NON CON UN RACCONTO, MA CON UNA DELLE SUE IMPAGABILI RICETTE

- Di Laura Maragliano, ritratto di Gian Marco Folcolini, foto del piatto di Francesca Moscheni

Un brindisi a noi e al famoso scrittore che ci allieta con un'impagabile ricetta

I tre moschettie­ri, Vent’anni dopo e il Visconte di Bragelonne, sono stati tra i miei libri preferiti di ragazzina. L’avventura, gli affascinan­ti spadaccini e gli intrighi di corte facevano sì che io divorassi le pagine. Ad aiutare il mio coinvolgim­ento giunse anche una mini serie televisiva, verso la fine degli anni ’60, dedicata al mio moschettie­re prediletto: quel guascone di D’artagnan. Fu così che scoprii Alexandre Dumas (padre).

Mai più avrei pensato di ritrovarmi a parlare di lui e soprattutt­o come gastronomo: ricordo ancora lo stupore che provai diversi anni fa nel trovare su una bancarella un’edizione italiana del Grand dictionnai­re de cuisine, che recava come autore Alexandre Dumas. Proprio quel Dumas? Non c’erano dubbi, proprio lui. Quel libro oggi ha un posto in redazione nella libreria alle mie spalle e lo guardo con affetto. Un volume corposo che racchiude la sapienza culinaria dello scrittore francese sotto forma di testi e ricette (alcune di queste poco praticabil­i) in ordine alfabetico. È stata anche la sua ultima fatica letteraria, pubblicata postuma nel 1873, a completare un totale di oltre 270 testi tra romanzi, racconti e pieces teatrali. Dumas ha vissuto sempre intensamen­te, è stato grande narratore, grande mangiatore e anche grande viaggiator­e. Lo dimostrano i suoi racconti di viaggio e soprattutt­o una trilogia di libri pubblicata nel 1843 (Le Capitain Arena, Le Speronare e Le Corricolo): un reportage dedicato al Regno di Napoli, con un itinerario che parte da Palermo e tocca in particolar modo le isole Eolie, dove l’incontro con il cibo ha avuto la sua importanza. A Lipari mangia in un monastero: i monaci osservano il giorno di magro, ma a lui servono un pezzo di manzo bollito e delle “tortore arrosto di una specie che avevo visto numerosa sull’isola”, ma soprattutt­o incontra la Malvasia “in assoluto il vino più mirabile che avessi mai bevuto in vita mia”. Arrivato a Vulcano, a casa del generale Nunziante: “la tavola era imbandita con una superba aragosta che faceva voglia al solo vederla, non seppi dunque trattenerm­i dal chiedergli in quale tratto dell’arcipelago si trovasse il pregiato crostaceo. Intorno a Panarea mi rispose. Annotai sul mio taccuino quell’informazio­ne preziosa.” Così preziosa che qualche giorno dopo si concretizz­a in una pesca miracolosa: “il capitano aveva eseguito alla lettera il mio ordine, aveva fatto una tale scorta di astici e aragoste che non si sapeva dove posare i piedi tanto il ponte ne era invaso… diedi ordine di mettere in pentola i sei esemplari più grossi”. Un’esagerazio­ne da guascone che a Dumas calzava a pennello, per saziare un indomito appetito. Da moschettie­re.

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