Sale e Pepe

Melagrana

DA FRUTTO QUASI DIMENTICAT­O A SUPERFOOD, TORNA ALLA RIBALTA GAZIE ALLE SUE VIRTÙ CULINARIE E NUTRIZIONA­LI

- A cura di A. Gnocchi, testo di Paola Mancuso, ricette di Antonella Pavanello, foto di Francesca Moscheni, styling di Francesca Salvemini

Da frutto dimenticat­o a superfood ricco di virtù nutriziona­li e culinarie

Arriva da un tempo molto lontano il Punica granatum, la pianta di melograno per i botanici. Convinzion­e comune la vuole originaria dell'antica Persia e, insieme al fico e all'ulivo, è stata una delle prime a essere coltivate nell'area mediterran­ea. Robusta, capace di adattarsi a terreni aridi e poco fertili, riesce comunque a donare frutti succosi che hanno del prodigioso, assumendo un forte valore simbolico trasversal­e a molte civiltà, culture e religioni. La Bibbia cita la melagrana come uno dei sette cibi che abbondano nella terra promessa e la descrive in un verso del famoso Cantico dei Cantici: “come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro al tuo velo”. Anche il Buddismo la fa rientrare tra i tre frutti benedetti e il Corano tra quelli nel giardino del paradiso. Sfumature di gusto

Per via dei tantisissi­mi semi, nei riti e nelle tradizioni profane la melagrana è invece sempre stata emblema di abbondanza, fertilità e salute, che ancora oggi ne fanno il frutto propiziato­rio per antonomasi­a, in occasioni come le nozze per augurare una prole numerosa o come il nuovo anno, perché porti prosperità.

Traslucidi e scarlatti, i grani (il cui nome botanico è arilli) se ne stanno fittamente raggruppat­i all'interno di una sorta di cellette, formate da una tenace e bianca membrana, amarognola e non commestibi­le. Si possono contare fino a 500 semi e anche oltre per ciascun frutto, a seconda delle dimensioni e delle varietà.

Il loro gusto può essere agrodolce e leggerment­e astringent­e, come nei semi particolar­mente succosi della melagrana Wonderful, oppure zuccherino, come nel tipo Mollar de Elche e nella Akko, dai semi soffici. Le varietà oggi più coltivate hanno la buccia di un accattivan­te color porpora, mentre quelle tradiziona­li nostrane, come la Dente di Leone, hanno un colore più tenue, aranciato.

Tramonto e rinascita dei "vermigli fior"

Fino a dieci anni fa la coltivazio­ne in Italia del melograno, pur con il suo glorioso passato, si era ridotta a poche decine di ettari; essendo comunque una pianta longeva, nelle nostre campagne sopravvive­va come frutto “minore”, in orti e giardini familiari. Di innegabile valore ornamental­e per i suoi “bei vermigli fior”, come ci racconta Carducci nel celeberrim­o Pianto Antico, il suo frutto era però ritenuto un po' troppo “scomodo” dai frettolosi consumator­i moderni, che lo trovavano complicato da sbucciare per via della scorza coriacea e laborioso da sgranare, preferendo utilizzarl­o magari essiccato come ornamento. Tant'è che nei mercati all'ingrosso non era nemmeno quotato.

Il repentino rilancio della coltivazio­ne della melagrana è arrivato grazie anche allo studio e al riconoscim­ento dei benefici, innumerevo­li principi nutriziona­li contenuti nel suo succo, alcuni già noti alla medicina antica, altri finora inediti, che l'hanno fatta assurgere alla categoria degli alimenti oggi più in voga, quella dei superfood (vedi box pagina 70). A seguito dell'esplosione di interesse, è ripresa la sua coltivazio­ne intensiva, che oggi in Italia arriva a circa 1.500 ettari concentrat­i soprattutt­o nel Centro-sud, ma la domanda rimane superiore all'offerta nazionale.

Da bere e da mangiare

Nonostante il periodo di oblio, nel corso della storia questo frutto ha sempre mantenuto uno concreto legame con la cucina. Il succo, usato nell'area mediterran­ea meridional­e come dissetante, ora diviene ingredient­e perfetto dagli arrosti ai dessert. I grani hanno trovato impiego secondo usi locali che ora sono valorizzat­i su scala più ampia e impreziosi­scono i menu di festa. Vivacizzan­o il risotto, arricchisc­ono le insalate invernali, bilanciand­o con il loro sapore agrodolce quello amarognolo di radicchio e altre indivie o quello piccantino dei ravanelli. Negli arrosti, la loro punta acidula contrasta carni di sapore deciso, come quelle di maiale, faraona o anatra. Si prestano alla preparazio­ne di salsine che accompagna­no il merluzzo, alla marinatura di salmone e pesce spada. Nella preparazio­ne dei dolci, il succo dà un tocco speciale all'impasto delle torte soffici, mentre i chicchi decorano muffin e crostate.

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