Non solo panettone
DAI LIEVITATI DEGLI OFFELLAI MENEGHINI ALLE SOBRIE TORTE PAESANE, UN VIAGGIO ATTRAVERSO LA DOLCE OPEROSITÀ LOMBARDA
In casa Manzoni erano golosi di panettone. Teresa Borri, seconda moglie dello scrittore, aveva addirittura coniato il verbo “panatonare”, ossia mangiare il panettone, cosa che accadeva davvero spesso. Non era da meno l’autore dei Promessi Sposi, tanto che durante il volontario esilio a Lesa, sul lago Maggiore, scrisse al figlio Pietro una lettera dove chiedeva l’invio di alcuni prodotti tra cui “un panattone di tre o quattro libbre, giacché ad Arona, con mia sorpresa, non se ne fa altro che per il Natale”. Il che vuol dire che dagli “offellai” meneghini il dolce si trovava tutto l’anno. Oggi il panettone ha valicato da tempo i confini milanesi, regionali e nazionali ed è diventato un simbolo che va oltre le Feste. È la rappresentazione più nota del lato dolce della Lombardia, che si esprime nelle 12 province in modo diverso e univoco nello stesso tempo, con preparazioni non ampollose, barocche e scenografiche (tranne pochi casi) ma di sostanza. Sono torte, budini, biscotti, pani ricchi di frutta secca e altri lievitati, figli dell’operosità e ingegno lombardi e raccontano storie di città e di contado.
La nascita delle torte dolci è strettamente legata alla diffusione e disponibilità dello zucchero, che ancora nell’800 era considerato costoso al pari di una spezia e che quindi non tutti potevano permettersi. Ma già nel 1573 gli Statuti della città di Cremona vietano agli “ofellai”, gli antesignani dei pasticcieri, di usare “miele o melazzo” al posto dello zucchero. Nelle città lombarde, in particolare a Milano, nascono a partire dal ‘700 i laboratori di pasticceria che promuovono il loro lavoro inventando torte e dolci destinati alla nascente borghesia cittadina. Sicuramente il passaggio di austriaci e francesi sul territorio ha lasciato tracce nel gusto e nelle tecniche di pasticceria, rielaborati però con canoni del tutto lombardi, come nel caso della charlotte, dolce francese al cucchiaio, trasformata in torta.
Nei paesi e nelle campagne i dolci si preparano raramente, di solito per le feste religiose. La farina è destinata al pane e il costo dello zucchero è alto, il suo uso si diffonderà nel mondo contadino dopo la Prima guerra mondiale grazie alle tessere annonarie. Perciò, si continua a usare il miele e la farina è una miscela che può comprendere quella di mais, di miglio, di segale, di castagne e poca bianca. Il pane avanzato diventa spesso un dolce con l’aggiunta di latte, uova, frutta secca, tocchetti di mele e, in tempi più floridi, di zucchero e cacao. Così sono nate le torte paesane. È un mondo silenzioso e operoso quello della pasticceria lombarda, senza fronzoli, schietto, figlio di quel saper fare che bada al sodo. Molto distante dal clamore della pasticceria sicula o di quella tinta di cioccolato del Piemonte, ma non per questo meno affascinante. Nelle prossime pagine farete un piccolo viaggio tra i dolci emblematici delle 12 province lombarde. Potrete replicarli a casa, ma il mio consiglio è quello di gustarli sul posto. Con l’occasione scoprirete una regione fatta non solo di fabbriche e di lavoro, ma anche di paesaggi incantevoli, opere d’arte, grandi chiese, piccole pievi, centri storici e antiche dimore.