Prosciutto di Carpegna Dop
UNA PRELIBATEZZA MARCHIGIANA PRODOTTA SULLE COLLINE DI MONTEFELTRO SECONDO L’ANTICA TRADIZIONE CHE CI REGALA UN SALUME PREGIATO, MORBIDO E PROFUMATO
Morbido e soffice, lievemente ambrato, soavemente profumato e delicatamente sapido. È così che si presenta il prosciutto crudo di Carpegna, autentico gioiello della salumeria italiana. E di quella marchigiana nello specifico, poiché questo prosciutto tutelato dalla Dop (denominazione di origine protetta) si produce solo nell’omonimo paese situato tra le dolci colline del Montefeltro. È qui, a 750 metri di altitudine, che il clima rigido dell’entroterra con la sua aria frizzante e pura, viene mitigato dall’aria secca e salmastra proveniente dall’adriatico, creando le condizioni ideali per la stagionatura di quello che viene considerato il principe dei salumi marchigiani. Tanto che su un territorio comunale che non arriva a 30 kmq e dove vivono meno di 2mila abitanti, maturano lentamente ogni 12 mesi circa 180mila prosciutti, tutti in un unico stabilimento. Una sorta di caveau, che custodisce un tesoro gastronomico del valore superiore a 27 milioni di euro ogni anno. Per realizzare il prosciutto di Carpegna approdano sui colli del pesarese, tornante dopo tornante, solo le cosce selezionate di suini nati, allevati e macellati in tre regioni: Marche, Lombardia ed Emilia Romagna. Tutte ottenute da maiali pesanti, con almeno 160 kg di peso e dieci mesi di vita, uno in più rispetto agli altri prosciutti crudi Dop italiani. Questo fa sì che sulle cosce ci sia più grasso di copertura e che sia più “fatto”, e quindi capace di sprigionare profumi e sapori più intensi a fine stagionatura. Una materia prima così pregiata viene lavorata con attenzione rispettando l’iter produttivo descritto nel disciplinare della Dop, che scandisce i diversi passaggi come si è sempre fatto in questa zona,
perlomeno dal 15esimo secolo, quando è stata messa a punto la “ricetta”. La tecnica è rimasta immutata ma con l’introduzione di alcune macchine che alleviano le fatiche umane. Per esempio, l’eliminazione dei residui di sangue e siero dalle cosce fresche è affidata a “massaggiatori” automatici che effettuano una sorta di linfodrenaggio, permettendo alle fibre muscolari di essere pronte ad accogliere il sale marino che sarà aggiunto e massaggiato manualmente. Non è l’unico passaggio della produzione in cui sono le mani a fare la differenza. E dove sono insostituibili. Lo si vede bene nella stuccatura, uno degli elementi che rendono unico il prosciutto di Carpegna. Lo stucco è fatto in casa con una ricetta segreta a base di strutto, farina di riso, aromi naturali e un mix di spezie, tra cui spiccano pepe e paprika. Un retaggio di quando al porto di Ancona arrivavano i carichi di spezie pregiate dall’oriente, molto richieste per arricchire i cibi più ricercati, prosciutto compreso. Rivestite con questo ”abito” aromatico, che le protegge lasciandole respirare, le cosce vengono legate e appese a stagionare in ambienti a umidità naturale e aria tiepida (15- 20°), arricchendosi di sfumature di gusto e di profumi e sviluppando la loro ineguagliabile morbidezza. Le cosce riposano per almeno 13 mesi (di solito in commercio si trovano dopo 16-20 mesi) e, comunque, finché l’esperto che le punzona con un affilato osso di cavallo per valutarne la maturazione avrà decretato che rispettano gli standard previsti dal disciplinare. Solo allora verranno marchiate a fuoco con il logo del consorzio, diventando ufficialmente prosciutto di Carpegna Dop. Rispetto al loro arrivo a Carpegna, avranno perso un terzo del peso ma avranno guadagnato in sapore, profumo e morbidezza. Con buon piacere dei buongustai.