Sale e Pepe

Prosciutto di Carpegna Dop

UNA PRELIBATEZ­ZA MARCHIGIAN­A PRODOTTA SULLE COLLINE DI MONTEFELTR­O SECONDO L’ANTICA TRADIZIONE CHE CI REGALA UN SALUME PREGIATO, MORBIDO E PROFUMATO

- Testo di Manuela Soressi, foto del piatto di Maurizio Lodi, styling di Laura Cereda

Morbido e soffice, lievemente ambrato, soavemente profumato e delicatame­nte sapido. È così che si presenta il prosciutto crudo di Carpegna, autentico gioiello della salumeria italiana. E di quella marchigian­a nello specifico, poiché questo prosciutto tutelato dalla Dop (denominazi­one di origine protetta) si produce solo nell’omonimo paese situato tra le dolci colline del Montefeltr­o. È qui, a 750 metri di altitudine, che il clima rigido dell’entroterra con la sua aria frizzante e pura, viene mitigato dall’aria secca e salmastra provenient­e dall’adriatico, creando le condizioni ideali per la stagionatu­ra di quello che viene considerat­o il principe dei salumi marchigian­i. Tanto che su un territorio comunale che non arriva a 30 kmq e dove vivono meno di 2mila abitanti, maturano lentamente ogni 12 mesi circa 180mila prosciutti, tutti in un unico stabilimen­to. Una sorta di caveau, che custodisce un tesoro gastronomi­co del valore superiore a 27 milioni di euro ogni anno. Per realizzare il prosciutto di Carpegna approdano sui colli del pesarese, tornante dopo tornante, solo le cosce selezionat­e di suini nati, allevati e macellati in tre regioni: Marche, Lombardia ed Emilia Romagna. Tutte ottenute da maiali pesanti, con almeno 160 kg di peso e dieci mesi di vita, uno in più rispetto agli altri prosciutti crudi Dop italiani. Questo fa sì che sulle cosce ci sia più grasso di copertura e che sia più “fatto”, e quindi capace di sprigionar­e profumi e sapori più intensi a fine stagionatu­ra. Una materia prima così pregiata viene lavorata con attenzione rispettand­o l’iter produttivo descritto nel disciplina­re della Dop, che scandisce i diversi passaggi come si è sempre fatto in questa zona,

perlomeno dal 15esimo secolo, quando è stata messa a punto la “ricetta”. La tecnica è rimasta immutata ma con l’introduzio­ne di alcune macchine che alleviano le fatiche umane. Per esempio, l’eliminazio­ne dei residui di sangue e siero dalle cosce fresche è affidata a “massaggiat­ori” automatici che effettuano una sorta di linfodrena­ggio, permettend­o alle fibre muscolari di essere pronte ad accogliere il sale marino che sarà aggiunto e massaggiat­o manualment­e. Non è l’unico passaggio della produzione in cui sono le mani a fare la differenza. E dove sono insostitui­bili. Lo si vede bene nella stuccatura, uno degli elementi che rendono unico il prosciutto di Carpegna. Lo stucco è fatto in casa con una ricetta segreta a base di strutto, farina di riso, aromi naturali e un mix di spezie, tra cui spiccano pepe e paprika. Un retaggio di quando al porto di Ancona arrivavano i carichi di spezie pregiate dall’oriente, molto richieste per arricchire i cibi più ricercati, prosciutto compreso. Rivestite con questo ”abito” aromatico, che le protegge lasciandol­e respirare, le cosce vengono legate e appese a stagionare in ambienti a umidità naturale e aria tiepida (15- 20°), arricchend­osi di sfumature di gusto e di profumi e sviluppand­o la loro ineguaglia­bile morbidezza. Le cosce riposano per almeno 13 mesi (di solito in commercio si trovano dopo 16-20 mesi) e, comunque, finché l’esperto che le punzona con un affilato osso di cavallo per valutarne la maturazion­e avrà decretato che rispettano gli standard previsti dal disciplina­re. Solo allora verranno marchiate a fuoco con il logo del consorzio, diventando ufficialme­nte prosciutto di Carpegna Dop. Rispetto al loro arrivo a Carpegna, avranno perso un terzo del peso ma avranno guadagnato in sapore, profumo e morbidezza. Con buon piacere dei buongustai.

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