16 Tutto quello che devi sapere sull’artrite reumatoide
L’addio ad Anna Marchesini, amatissima attrice affetta da tempo da questa malattia, ha suscitato ansie a non finire. Ecco come debellarla sul nascere
Da quando due anni fa era stata ospite a Che tempo che fa, facendo coming out della sua malattia, era diventata il volto “buono”, simpatico e umano dell’artrite reumatoide. La fine di Anna Marchesini, scomparsa il 30 luglio scorso, non solo ha suscitato grande sconcerto e tristezza tra il suo pubblico, ma ha sollevato tante ansie tra le donne che soffrono di patologie autoimmuni. Una domanda per tutte: all’alba del 2016 è possibile ancora morire di artrite reumatoide? La Società italiana di reumatologia, subissata di domande, ha subito chiarito che l’attrice soffriva di una forma grave e particolarmente aggressiva della malattia, chiamata artrite reumatoide maligna, che è fortunatamente rara. Molto invalidante, l’aveva costretta a interrompere una tournée teatrale già nel 2006 e da allora le crisi dolorose si erano intensificate, causando vere e proprie deformità anchilosanti alle articolazioni. «Superata l’ondata emotiva, è però bene fare chiarezza: nella sua forma benigna, l’artrite reumatoide (malattia infiammatoria cronica di origine autoimmune che attacca il liquido sinoviale delle articolazioni fino a portare all’autodistruzione delle stesse) oggi può essere agevolmente tenuta sotto controllo. Specie se viene trattata fin dal suo esordio grazie alla diagnosi precoce», rassicura il professor Mauro Galeazzi, presidente della Società italiana di reumatologia.
i primi campanelli d’allarme
«Sono tre i sintomi tipici dell’artrite reumatoide», spiega Galeazzi. «Gonfiore e noduli alle dita, presenti in genere sia a destra sia a sinistra, che impediscono di sfilare un anello. Sono infatti le mani le prime a essere colpite, seguite da polsi, piedi e caviglie. Un altro sintomo è il dolore, soprattutto di notte, che tende a durare per più di tre settimane, senza rispondere ai comuni farmaci antidolorifici. Infine, rigidità mattutina: al risveglio le articolazioni sono bloccate, come “congelate”, e servono 30-60 minuti per poter tornare a muovere mani, piedi e caviglie». In questi casi è opportuno rivolgersi
300
mila il numero di donne italiane colpite dall’artrite
reumatoide 35-60anni la fascia d’età più interessata
dalla malattia
subito al medico di base o al reumatologo. L’occhio esperto dello specialista può riconoscere già dalla visita i primi segni di un’artrite reumatoide, ma la conferma richiede specifici esami del sangue. « Si misurano gli indici di infiammazione (VES e proteina C reattiva), per vedere se sono aumentati, la presenza di anticorpi specifici e il cosiddetto fattore reumatoide (FR), che è caratteristico delle malattie autoimmuni», spiega il reumatologo. «Completano il quadro la radiografia o l’ecografia alle articolazioni colpite, per verificare la presenza di danni al tessuto articolare».
la carta vincente è la diagnosi precoce
Per avere una buona prognosi della malattia, l’ideale è diagnosticarla entro 12 settimane dalla sua comparsa. «I primi tre mesi vengono definiti “finestra di opportunità”: se si inizia la terapia in questa fase, in un caso su due si può avere la remissione dei sintomi. Non significa completa guarigione, ma l’artrite smette di progredire e si riesce a condurre una vita normale. E in alcuni casi, dopo circa 12 mesi, si può addirittura iniziare a scalare i medicinali fino ad arrivare a sospenderli nel giro di qualche anno, per poi riprenderli solo se l’artrite torna a farsi sentire», dice il professor Galeazzi. Se passa più di un anno dalla comparsa dei primi sintomi, invece, le cose si complicano: soprattutto nei primi due anni, infatti, in mancanza di cure adeguate o per trattamenti errati, il danno alle articolazioni progredisce rapidamente, e le deforma al punto tale da rendere difficile lo svolgimento delle normali attività, come allacciare un bottone o usare le posate. A quel punto le cure, anche le più innovative, non sono più sufficienti a bloccare la malattia, ma servono solo a rallentare la sua evoluzione.
le terapie combinate
Sono tanti i farmaci a disposizione, da assumere in genere per tutta la vita. Quelli classici, detti “antireumatici di fondo”, appartengono alla classe degli immunosoppressori: attenuano l’attacco del sistema immunitario contro le cellule del corpo e l’infiammazione che ne deriva. «
La molecola di prima scelta è il metotrexato, spesso associato ad antinfiammatori o cortisonici contro il dolore», spiega il reumatologo. «Se dopo 6 mesi non si apprezzano degli effetti positivi, si associano farmaci più innovativi, definiti biologici perché formulati grazie a moderne tecniche di bioingegneria. Simili ai nostri anticorpi, agiscono contro l’infiammazione in maniera mirata, colpendo singole tipologie di cellule o molecole pro-infiammatorie coinvolte nella malattia».