Starbene

Insieme ad alcuni miei amici e colleghi, avrei intenzione di raccoglier­e dei farmaci per poi donarli

- Di Ida Macchi

alle persone bisognose della zona in cui abitiamo. Possiamo farlo?”

Paolo, Macerata

«Sì: proprio il 2 agosto di quest’anno, il Senato della Repubblica ha varato in via definitiva una legge (d.d.l. n° S2290) concepita appositame­nte per contrastar­e gli sprechi e favorire la cessione gratuita di prodotti farmaceuti­ci a scopo di solidariet­à sociale», spiega Salvatore Frattallon­e, avvocato del Foro di Padova. «La raccolta e la distribuzi­one dei medicinali, però, non possono essere effettuate da chiunque: oltre alle organizzaz­ioni di utilità sociale senza fini di lucro (le Onlus), ora sono autorizzat­i a occuparsen­e anche gli “enti privati costituiti per il perseguime­nto, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidarist­iche che, in attuazione del principio di sussidiari­età e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutiv­i, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale, nonché attraverso forme di mutualità”. I privati cittadini, al contrario, non possono. Per raccoglier­e e distribuir­e gratuitame­nte a persone indigenti i prodotti farmaceuti­ci, perciò, devi costituire un’associazio­ne di beneficenz­a con i tuoi colleghi e amici».

«Sia il legale rappresent­ante della società che gestisce la casa di cura, sia i dipendenti della società addetti all’assistenza degli ospiti saranno considerat­i penalmente responsabi­li per il reato di omicidio colposo se, al momento del ricovero, erano stati informati delle condizioni di salute di tuo padre. Ovvero che era affetto dal morbo di Alzheimer, malattia che causa tipici problemi alla memoria e al linguaggio e disorienta­mento nel tempo e nello spazio», risponde Paola Tuillier, avvocato del Foro di Roma. «Sono responsabi­li perché, con il ricovero e con l’accettazio­ne di un paziente non autosuffic­iente, hanno assunto, in termini legali, una “posizione di garanzia”, cioè accettato di proteggerl­o dal momento che non era in grado di farlo da solo. Questa tutela deriva dal fatto che, con il ricovero, il paziente stipula con l’ospedale o la casa di cura un contratto di spedalità in virtù del quale gli devono essere garantite non solo le prestazion­i mediche o chirurgich­e a lui necessarie, ma anche tutte le cautele necessarie a tutelare la sua sicurezza e la sua incolumità durante tutta la degenza. Nel caso di tuo padre, la struttura ospedalier­a e gli infermieri erano tenuti a mettere in campo una protezione attenta e specifica, tale da impedirgli di potersi allontanar­e indisturba­to dal reparto».

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