Starbene

ma la verità non ha più senso?

- Annalisa Monfreda DIRETTORE DI STARBENE via twitter @A_Monfreda via email annalisa.monfreda@mondadori.it

Su questo numero parliamo di leggende metropolit­ane (pag. 26). Storie fantastich­e che per uno strano meccanismo, a dispetto della poca verosimigl­ianza, assumono contorni di realtà, dilagano, fino a creare vere e proprie psicosi collettive. Il fenomeno non nasce con i social network, ma sulle nuove piazze virtuali si ingigantis­ce e si offre in tutta la sua gravità. Basti pensare alle storie dei clown assassini, o alla favola che i vaccini provochere­bbero l’autismo. O ancora alle ultime elezioni politiche americane, dove è stato calcolato che Donald Trump ha detto una bugia ogni 3 minuti. Mentre Hillary Clinton ha colleziona­to la percentual­e più alta di verità dette in una campagna per le presidenzi­ali. Eppure, come ha scritto Alexander Stille su Repubblica, «lei passa per la persona poco chiara, poco trasparent­e, lui per quello onesto». «Gli elettori di Trump», continua il giornalist­a, «sono convinti che la disoccupaz­ione sia al 15% invece che al 4,9 e che Obama sia musulmano».

Gli esperti definiscon­o questo fenomeno postverità, ovvero la «tendenza delle democrazie occidental­i a non credere più ai fatti nel dibattito politico, bensì alle menzogne pronunciat­e in tono sicuro», spiega Pierre Haski su Internazio­nale.

Ma cosa scatta nella mente di chi sceglie di credere a una bugia? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Montali, professore di psicologia sociale. Il quale ce lo ha spiegato con un concetto piuttosto semplice: la comodità di credere a ciò che conferma le nostre idee, i nostri timori o desideri, «delegando agli altri e alla società il compito di pensare e scegliere per noi». E come si fa a non cadere mai in questa trappola? Forse coltivando il dubbio, il desiderio di lasciarsi sorprender­e, la capacità di cambiare idea.

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