Starbene

Ma perché crediamo alle leggende metropolit­ane?

In autunno, le storie fantasy di clown-horror hanno fatto il giro del mondo. E, come dicono gli esperti, gettano ancora ombre nelle nostre vite

- Di Francesca Trabella

Partita ad agosto dagli Stati Uniti, la leggenda metropolit­ana più dilagante degli ultimi mesi racconta di creepy clown, pagliacci spaventosi avvistati mentre cercano di rapire i bambini o si aggirano armati. È l’ultima di una serie di favole che passano di bocca in bocca, dopo il mito dei coccodrill­i nelle fogne di New York o l’autostoppi­sta fantasma, tanto per citare le più famose. Starbene ha parlato di queste psicosi collettive con Lorenzo Montali, professore di psicologia sociale all’università di Milano Bicocca e vice presidente del Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazio­ni sulle pseudoscie­nze, queryonlin­e.it).

Da dove nascono? «Le storie fantastich­e dilagano su scala mondiale perché, in un certo senso, confermano che le nostre idee, i nostri timori o desideri sono corretti. Credibili, insomma. Sento dire che sotto la gonna di una zingara è stata trovata una bambina rubata alla madre? Ci credo: è un facile antidoto per esorcizzar­e sia la paura di chi è diverso da noi sia quella di perdere un figlio. In più, certi rumor resistono per la ragione che diventano automatism­i mentali: mi viene in mente la raccolta dei tappi di plastica per finanziare l’acquisto di una carrozzina per un disabile. È una bufala che gira da anni. Ma a furia di sentirla, noi stessi ci siamo abituati a raccoglier­e i tappi, creando nel tempo una filiera di riciclo a scopi benefici».

Quali sono gli effetti? «Le leggende hanno un grosso limite: rafforzano le nostre insicurezz­e e anche una visione distorta della realtà, per cui possono limitare la libertà di scelta e azione. Nel caso dei clown, per esempio, si è creata un’innaturale diffidenza contro uno dei simboli universali del divertimen­to, che potrebbe fare disertare i circhi da parte dei bambini. Oppure pensiamo a quei genitori che non fanno vaccinare i figli perché credono alla falsa voce “vaccino uguale ad autismo”».

Come comportarc­i? «Convincers­i di certe dicerie, in un certo senso, è comodo: si delega agli altri e alla società il compito di pensare e scegliere per noi. Perciò, invece di farci prendere dall’ansia – ingiustifi­cata – partiamo da questi fantomatic­i miti per riappropri­arci di un po’ di sana diffidenza, senso critico e intraprend­enza (“verifico di persona”), caratteris­tiche che aiutano a ritagliars­i un ruolo attivo nella vita». Neutralizz­ando leggende metropolit­ane (e pregiudizi).

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