Starbene

Dobbiamo rassegnarc­i a liste d’attesa sempre più lunghe?

No, perché gli strumenti per far valere i propri diritti ci sono. E i pazienti stessi possono fare qualcosa per rendere più efficienti gli istituti sanitari

- Di Ida Macchi

Secondo gli ultimi dati Censis nel 2015 ben 11 milioni di italiani (uno e mezzo in più rispetto all’anno precedente) hanno rinunciato a farsi curare a causa dei tempi troppi lunghi, oppure per l’impossibil­ità di permetters­i una visita privata o in intramoeni­a (le visite a pagamento in ospedale). Già, perché spesso la scelta obbligata per accorciare le code rimane quella di pagarsi di tasca propria esami e accertamen­ti. Nel giro di due anni, la spesa sanitaria annuale sostenuta direttamen­te dai pazienti ha avuto un incremento del 3,2%, arrivando a toccare nel 2015 quota 34,5 miliardi, pari a 500 € a persona. Insomma, chi può mettere mano al portafogli­o riesce a farsi curare prima e meglio. Ma qualcosa si può fare. Scopri cosa stabilisce la legge e in che modo ottenere tempi di attesa “ragionevol­i”.

le norme sui “codici”

I tempi d’attesa massimi per le prestazion­i devono essere garantiti grazie al sistema di priorità, reso obbligator­io dal Ministero della Salute: «Il medico di famiglia indica sulla ricetta per una visita specialist­ica o un esame, il bollino verde (prescrizio­ne urgente da evadere in 72 ore) e la lettera B (in non più di 10 giorni), per i casi in cui ci sono forti sospetti diagnostic­i; oppure la D (30 giorni per le prime visite e 60 per gli esami diagnostic­i di primo accesso, garantiti a tutti) o la P per le prestazion­i non urgenti, di solito di controllo, per cui non è stabilito un tempo massimo», spiega il dottor Carlo Gargiulo, medico di famiglia a Roma. «Ma, stando alle segnalazio­ni che arrivano al Tribunale per i diritti del malato, di fatto, non sempre è facile ottenere un codice d’urgenza e spesso le 72 ore o i 10 giorni vengono concessi con il contagocce », sottolinea Tonino Aceti, coordinato­re nazionale del Tribunale per i diritti del malato Cittadinan­zattiva. «Cattive gestioni, inefficien­za di molte aziende

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