Starbene

AI NOSTRI FIGLI?

Racchiuder­e i bambini in un numero rischia di appiattire la loro formazione. Ne sono convinti molti pedagogist­i. Ecco perché

- Di Francesca Trabella

Dal prossimo anno scolastico, gli alunni delle elementari e delle medie non dovrebbero più confrontar­si con i voti. A quanto ha annunciato il ministro dell’istruzione, anziché un bel 10 o un 4, nelle pagelle ci saranno delle lettere: dalla A per i più bravi, alla E per chi non ha studiato. Davide Tamagnini, sociologo e maestro in un’elementare della provincia di Novara, ha anticipato e si è spinto oltre: niente numeri né lettere, nella sua classe utilizza solo una griglia con voci in cui riporta alcune consideraz­ioni su ciò che sta facendo un bambino a scuola. A fine quadrimest­re, poi, niente pagella, ma una lettera colloquial­e indirizzat­a al bimbo per parlare dei progressi fatti e dei punti su cui lavorare, come illustra nel libro Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini (La Meridiana, 16,50 €). Due premesse che sostengono una domanda di fondo: ma i voti servono davvero? E, soprattutt­o, che impatto hanno sulla crescita dei nostri figli?

>nascondono un equivoco

Che i voti pesino parecchio è esperienza quotidiana della maggior parte dei genitori. I ragazzi si demoralizz­ano quando non ottengono quelli sperati, rimangono male se qualche compagno ne prende di migliori, sono mortificat­i quando un’insufficie­nza diventa occasione di umiliazion­e. «Tutto ciò è frutto di un malinteso che fa coincidere la valutazion­e scolastica con un giudizio sulla persona: “Ho preso 4, dunque sono un asino” e “Ho preso un 9, perciò sono un genio”», commenta Raffaele Mantegazza, professore di Scienze pedagogich­e presso il Dipartimen­to di medicina e chirurgia dell’Università di Milano Bicocca, conduttore di corsi di formazione per genitori e di aggiorname­nto per insegnanti. «In realtà, l’oggetto della valutazion­e non è la persona e non dovrebbe essere neppure esclusivam­ente il suo singolo prodotto (per esempio un testo, un disegno), ma il processo di apprendime­nto. Di conseguenz­a, il voto andrebbe visto come una sorta di segnale che il ragazzo incontra sul suo percorso e che comunica sia quanta strada ha fatto sia quanta gliene resta per arrivare alla meta. Il segnale può anche indicare che la strada intrapresa è sbagliata e che bisogna cambiare direzione».

>s’impongono come il fine dello studio

Iniziare a considerar­e con tuo figlio i voti come “segnali stradali” è un primo passo verso una maggior serenità, ma potrebbe non bastare per aiutarlo a riconoscer­e gli insuccessi: «Non è sempre facile, soprattutt­o se le prove proposte sono incoerenti rispetto alle modalità di insegnamen­to e di apprendime­nto», commenta Mantegazza. «Mi spiego: se una maestra propone di insegnare un argomento attraverso il gioco, le esperienze, il dialogo e poi pretende di valutare gli alunni con test a crocette - nel vano tentativo di arrivare a un giudizio oggettivo – è evidente che il bambino si trovi spaesato e, nel caso in cui “vada male”, non capisca il perché. Non si tratta di una questione di forma. La valutazion­e è solo l’ultimo atto di un itinerario educativo: se viene effettuata con coerenza, lo studente è naturalmen­te portato a riconoscer­si nei giudizi, anche negativi, li accetta e ne fa tesoro». « I voti dovrebbero essere lo specchio dei processi di apprendime­nto che i bambini mettono in atto, invece finiscono

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