AI NOSTRI FIGLI?
Racchiudere i bambini in un numero rischia di appiattire la loro formazione. Ne sono convinti molti pedagogisti. Ecco perché
Dal prossimo anno scolastico, gli alunni delle elementari e delle medie non dovrebbero più confrontarsi con i voti. A quanto ha annunciato il ministro dell’istruzione, anziché un bel 10 o un 4, nelle pagelle ci saranno delle lettere: dalla A per i più bravi, alla E per chi non ha studiato. Davide Tamagnini, sociologo e maestro in un’elementare della provincia di Novara, ha anticipato e si è spinto oltre: niente numeri né lettere, nella sua classe utilizza solo una griglia con voci in cui riporta alcune considerazioni su ciò che sta facendo un bambino a scuola. A fine quadrimestre, poi, niente pagella, ma una lettera colloquiale indirizzata al bimbo per parlare dei progressi fatti e dei punti su cui lavorare, come illustra nel libro Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini (La Meridiana, 16,50 €). Due premesse che sostengono una domanda di fondo: ma i voti servono davvero? E, soprattutto, che impatto hanno sulla crescita dei nostri figli?
>nascondono un equivoco
Che i voti pesino parecchio è esperienza quotidiana della maggior parte dei genitori. I ragazzi si demoralizzano quando non ottengono quelli sperati, rimangono male se qualche compagno ne prende di migliori, sono mortificati quando un’insufficienza diventa occasione di umiliazione. «Tutto ciò è frutto di un malinteso che fa coincidere la valutazione scolastica con un giudizio sulla persona: “Ho preso 4, dunque sono un asino” e “Ho preso un 9, perciò sono un genio”», commenta Raffaele Mantegazza, professore di Scienze pedagogiche presso il Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Milano Bicocca, conduttore di corsi di formazione per genitori e di aggiornamento per insegnanti. «In realtà, l’oggetto della valutazione non è la persona e non dovrebbe essere neppure esclusivamente il suo singolo prodotto (per esempio un testo, un disegno), ma il processo di apprendimento. Di conseguenza, il voto andrebbe visto come una sorta di segnale che il ragazzo incontra sul suo percorso e che comunica sia quanta strada ha fatto sia quanta gliene resta per arrivare alla meta. Il segnale può anche indicare che la strada intrapresa è sbagliata e che bisogna cambiare direzione».
>s’impongono come il fine dello studio
Iniziare a considerare con tuo figlio i voti come “segnali stradali” è un primo passo verso una maggior serenità, ma potrebbe non bastare per aiutarlo a riconoscere gli insuccessi: «Non è sempre facile, soprattutto se le prove proposte sono incoerenti rispetto alle modalità di insegnamento e di apprendimento», commenta Mantegazza. «Mi spiego: se una maestra propone di insegnare un argomento attraverso il gioco, le esperienze, il dialogo e poi pretende di valutare gli alunni con test a crocette - nel vano tentativo di arrivare a un giudizio oggettivo – è evidente che il bambino si trovi spaesato e, nel caso in cui “vada male”, non capisca il perché. Non si tratta di una questione di forma. La valutazione è solo l’ultimo atto di un itinerario educativo: se viene effettuata con coerenza, lo studente è naturalmente portato a riconoscersi nei giudizi, anche negativi, li accetta e ne fa tesoro». « I voti dovrebbero essere lo specchio dei processi di apprendimento che i bambini mettono in atto, invece finiscono