Starbene

Mio figlio si è fratturato un femore e gli hanno applicato una placca con delle viti, ma due di queste si sono rotte.

- Di Ida Macchi

Risultato: altri interventi per sostituire la placca con un chiodo endomidoll­are e un lunghissim­o periodo a letto. È possibile che l’intervento iniziale non fosse quello giusto?” Paola, Latina

«La frattura della parte centrale del femore (detta diafisaria) deve essere affrontata con urgenza e, se trattata correttame­nte, si consolida in 90-100 giorni, tanto che si può tornare a camminare al quarto mese», spiega Paola Tuillier, avvocato del Foro di Roma. «Per stabilire se il primo intervento è stato corretto bisogna però sapere quale tipo di frattura ha subito tuo figlio: l’osteosinte­si con placca e viti è la tecnica d’elezione quando la frattura produce solo due monconi. Se invece l’osso si rompe in più frammenti, l’utilizzo del chiodo è il metodo di scelta. Rivolgiti perciò a un medico legale che potrà stabilire, esaminando i referti radiologic­i eseguiti prima dell’operazione, il tipo di frattura di tuo figlio. Se era pluriframm­entaria è possibile che l’inseriment­o della placca sia stato non idoneo: ha causato un’instabilit­à della gamba che, non riuscendo a supportare il carico del corpo, ha provocato la rottura delle viti. In questo caso, puoi rivalerti sia sul medico che ha effettuato l’intervento, sia sull’ospedale dove tuo figlio è stato operato.

«No, è reato perché la legge n° 40/2004 punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizz­a la surrogazio­ne di maternità» , risponde Salvatore Frattallon­e, avvocato del Foro di Padova. «In alcuni Stati stranieri è consentita per legge e, una volta che il piccolo è nato, viene rilasciato un certificat­o che attesta lo status genitorial­e della coppia, accompagna­to dall’autorizzaz­ione della madre naturale e dall’“informazio­ne di relazione genetica con il feto”. Qualora se ne chiedesse la trascrizio­ne in Italia, si dichiarere­bbe come “proprio” il figlio partorito in realtà dalla madre surrogata e, anche se quel certificat­o non riporta il nome della madre naturale ed è conforme alla normativa estera, non lo sarebbe per la nostra legge. Infatti è reato (art. 495 c.p.) dichiarare o attestare falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona, o alterare lo stato civile di un neonato, mediante false certificaz­ioni e false attestazio­ni (art. 567 c.p.). Saresti sanzionabi­le penalmente anche se richiedess­i la semplice trascrizio­ne dell’atto di nascita del piccolo, perché indurresti in errore l’ufficiale dello stato civile chiedendog­li di formare un atto di nascita sapendo che è falso: in Italia la “gestazione per conto di altri’” è sempre vietata e gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico. È anche accaduto che la richiesta di trascrizio­ne da parte di una coppia italiana non sia stato ritenuto reato perché i “neogenitor­i” si erano limitati a esibire in ambasciata l’atto di nascita già formato dalle autorità straniere, senza dichiarare nulla circa la genitorial­ità naturale (Cass. pen. n° 13525/2016): ma il rischio di sanzioni penali resta alto».

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