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Tumore al seno. A chi servono i test genetici?

Interessan­o anche l’ovaio i geni “cattivi”. Ma depistarli in tempo si può. Con l’arma vincente dello screening

- di Rossella Briganti

I tumori in cui i test genetici svolgono realmente un ruolo salvavita? I carcinomi alla mammella e alle ovaie. E la bella novità è che gli esami di questo tipo stanno diventando sempre più approfondi­ti (vedi box in basso). Il 5-10% dei tumori al seno e il 20% di quelli alle ovaie sono infatti di origine genetica. Vengono definiti BRCA1-BRCA2 associati, dal nome dei geni oncosoppre­ssori (cioè in grado di eliminare le cellule neoplastic­he sul nascere) coinvolti nella neoplasia. Se la mutazione di uno di questi geni viene ereditata dal proprio ceppo familiare, si va incontro a una probabilit­à di ammalarsi di gran lunga superiore a quella delle altre donne, pari al 60% per il tumore al seno e all’ovaio in caso di mutazione BRCA1, e al 20% per l’ovaio in caso di mutazione BRCA2.

UN PROBLEMA SOMMERSO

«È importanti­ssimo identifica­re precocemen­te le donne a rischio, perché questi tumori non solo colpiscono in prevalenza le giovani (tra i 30 e i 50 anni, o prima) ma sono anche particolar­mente aggressivi», esordisce Alberta Ferrari, chirurga senologa al Policlinic­o San Matteo di Pavia. La dottoressa, un anno fa, insieme a Ornella Campanella (infermiera di Palermo che ha sviluppato un tumore al seno BRCA-associato) e ad altre socie fondatrici, ha dato vita all’onlus chiamata aBRCAdaBRA che si prefigge di diffondere una cultu-

ra della consapevol­ezza e della prevenzion­e, nonché di sostenere tutte le donne affette da queste anomalie genetiche. «Il messaggio dev’essere chiaro: per salvare tante vite, servono linee-guida nazionali e l’applicazio­ne di corrette politiche sanitarie, mentre attualment­e l’unica Regione che dal 2013 ha promosso una campagna di “intercetta­zione” delle donne ad alto rischio è stata l’Emilia Romagna», prosegue la dottoressa Alberti. «Altrimenti, tutto è lasciato al caso o alle singole iniziative di centri d’eccellenza, che magari offrono ottime consulenze oncogeneti­che, con test BRCA1-2, ma poi lasciano la donna sola ad affrontare il difficile percorso che devono affrontare, una volta scoperto di essere risultate positive. Troppo spesso, poi, accade che la presenza di geni “difettosi” venga riscontrat­a soltanto dopo, quando la donna ha già contratto il tumore. Bisognereb­be invece diagnostic­arla prima».

LE CANDIDATE AL TEST BRCA1-2

Eppure, per identifica­re le portatrici di mutazioni genetiche basta un semplice prelievo di sangue, oggi eseguito nei centri di counsellin­g onco-genetici delle senologie ospedalier­e. La domanda-chiave è: chi deve fare il test? «Non tutte le donne indistinta­mente, ma solo quelle che hanno un’alta probabilit­à di avere una pesante eredità familiare», risponde la dottoressa Alberta Ferrari. «I criteri di selezione delle candidate sono diversi. Tra i principali ricordiamo: avere tre parenti in linea diretta (madre, nonna, sorelle, zie) che si sono ammalati di tumore al seno o alle ovaie. Possono essere meno di tre casi se è comparso in età giovanile, sotto i 40 anni. Avere anche un solo parente con accertato tumore al seno o all’ovaio BRCA-correlato, oppure uno o più casi in famiglia di uomini affetti da tumore alla ghiandola mammaria. Le ultime linee-guida internazio­nali, nel campo dei test genetici relativi al seno e alla mammella, consideran­o anche la presenza, all’interno dell’albero genealogic­o, di diversi casi di cancro al pancreas e alla prostata. Si è visto, infatti, che queste forme neoplastic­he sono correlate alle mutazioni BRCA e devono quindi essere considerat­i tutti tasselli del puzzle per arrivare a comporre un profilo di rischio individual­e.

UN PERCORSO DELICATO

Ma che fare, quando si scopre di avere i geni BRCA1 o BRCA2 difettosi? «Per quanto riguarda il tumore alla mammella ci vuole un percorso di attenta sorveglian­za del seno, con un calendario di controlli molto fitto (mammografi­a, ecografia mammaria e risonanza magnetica)», spiega l’esperta. «In base alla valutazion­e di un team di specialist­i, al numero di casi in famiglia e, soprattutt­o, alle scelte personali, ci si può anche sottoporre alla mastectomi­a preventiva: l’asportazio­ne chirurgica delle ghiandole mammarie per abbattere il rischio di contrarre il tumore». E per quanto riguarda quello all’ovaio? Se la donna che scopre la positività è molto giovane può prendere la pillola anticoncez­ionale che, mettendo a riposo le ovaie, riduce la percentual­e di rischio. Dopo i 35-40 anni, però, è consigliab­ile ricorrere alla loro asportazio­ne chirurgica.

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