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Malattie rare: chi aiuta le famiglie?

La sanità pubblica sta facendo passi avanti. Ma per convivere al meglio con queste sindromi che colpiscono 2 milioni di italiani, resta cruciale il sostegno di associazio­ni e onlus. Come dimostra l’esempio della Lega del Filo d’Oro

- di Valeria Ghitti

Ssono giorni importanti per le malattie rare. Non solo perché oggi 28 febbraio si celebra, con iniziative in tutta Italia, la Giornata Mondiale a esse dedicate, ma anche per l’imminente entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea). Nell’ultimo elenco delle malattie rare, infatti, sono state inserite oltre 110 patologie (per esempio la sarcoidosi, la sclerosi sistemica progressiv­a e la miastenia grave) che si aggiungono alle 583 già presenti. Questo significa che saranno “coperti” dal Servizio sanitario nazionale circa 300 mila pazienti, con un’esenzione totale dal ticket. Nei Lea, inoltre, è stato previsto anche lo screening allargato per le malattie metabolich­e ereditarie, strumento che permette di individuar­e numerose patologie rare, adesso obbligator­io per tutti i neonati. Diagnosi precoce, ricerca avanzata e nuove terapie oggi permettono spesso di vivere a lungo anche con una malattia rara. Ma la convivenza richiede assistenza, riabilitaz­ione e sostegno a lungo termine: tutte attività che hanno costi aggiuntivi non sempre sostenibil­i per la sola sanità pubblica. Ed è qui che spesso entrano in gioco enti privati, associazio­ni e onlus, come la Lega del Filo d’Oro.

DA 50 ANNI ACCANTO AI MALATI «Attualment­e le malattie rare rappresent­ano, negli utenti seguiti dai nostri team, la prima causa di sordocecit­à e di pluriminor­azioni psicosenso­riali, cioè condizioni in cui alla disabilità visiva e/o uditiva si associano deficit motori e/ cognitivi», spiega Patrizia Ceccarani, direttore tecnico scientific­o dell’associazio­ne (la Lega del Filo d’Oro da oltre 50 anni si occupa attivament­e della presa in carico di chi convive con queste problemati­che). «In particolar­e, sono la sindrome di Charge e la sindrome di Usher quelle con cui abbiamo più spesso a che fare. La prima provoca una serie di anomalie spesso concomitan­ti: cavità nasali ostruite, ipoacusia, malformazi­oni all’orecchio e ai genitali, ritardo di crescita e sviluppo, difetti cardiaci e problemi visivi, mentre la seconda è caratteriz­zata da sordità spesso congenita associata a retinite pigmentosa, che causa negli anni perdita progressiv­a della vista». Non ci sono terapie risolutive, purtroppo, ma contro il muro di buio e di silenzio, che limita autonomia, apprendime­nto e relazioni con l’esterno, si può fare molto.

L’IMPORTANZA DI UN INTERVENTO PRECOCE Bisogna intervenir­e presto e con programmi su misura, possibilme­nte entro il primo anno di vita, o comunque appena si raggiunge una diagnosi certa. «Le famiglie si rivolgono a noi spesso indirizzat­e direttamen­te dagli ospedali e dai pediatri e fino ai 4 anni di età possiamo effettuare un intervento precoce, cioè un soggiorno di tre settimane (è invece di una sola settimana per i bambini più grandi) presso il nostro Centro riabilitat­ivo di Osimo (Ancona), con l’obiettivo di far utilizzare al meglio al bimbo le risorse residue e trovare strategie alternativ­e di comunicazi­one», spiega la dottoressa. Come si esprime? Quanto vede e sente? E come sollecitar­lo a manifestar­e

bisogni e desideri? In che misura potrà partecipar­e attivament­e e in modo autonomo alla vita sociale? Sono queste alcune delle domande cui risponde un team interdisci­plinare di insegnanti, educatori, operatori, e terapisti che sviluppa così trattament­i educativo-riabilitat­ivi personaliz­zati integrati con sedute di fisioterap­ia, musicotera­pia, orientamen­to, logopedia. L’accesso al Centro avviene con l’impegnativ­a del medico e la riabilitaz­ione è gratuita. Al termine del soggiorno la famiglia riceve un programma personaliz­zato, completo di attività ed esercizi da fare a casa, con i genitori - che possono per esempio trasformar­e momenti quotidiani come quello del bagnetto o del cambio, in stimolazio­ni sensoriali - ma anche con operatori (fisioterap­isti o educatori) del territorio in cui vivono.

COME UN GIOCO DI SQUADRA

«Là dove siamo presenti con centri e sedi territoria­li (si possono trovare su legadelfil­odoro.it) i nostri operatori interagisc­ono direttamen­te con le famiglie anche a casa e a scuola. Prevediamo, inoltre, incontri con psicologi e anche momenti di confronti con altri genitori, perché è importante che attorno ai familiari di questi bambini ci sia una rete di profession­isti e persone amiche che offrano accoglienz­a e sostegno e non li facciano sentire soli», sottolinea la dottoressa. «Anche perché, quando un genitore riesce a comprender­e le difficoltà del figlio, si trova nella condizione migliore per assisterlo, educarlo e facilitare lo sviluppo delle sue potenziali­tà».

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 ??  ?? LE CIFRE DELLA SOLIDARIET­À
La Lega del Filo d’Oro è presente in 8 Regioni e segue più di 800 utenti, grazie anche a 600 volontari.
LE CIFRE DELLA SOLIDARIET­À La Lega del Filo d’Oro è presente in 8 Regioni e segue più di 800 utenti, grazie anche a 600 volontari.
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