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Andare al cinema fa bene: aiuta a conoscersi meglio, a gestire le emozioni, a entrare in contatto con i propri nodi irrisolti. È il principio alla base della “cineterapia”, una disciplina ideata dallo psicoterapeuta statunitense Gary Salomon, che ai suoi pazienti consiglia la visione di particolari film per poi ridiscuterne nelle
successive sedute.
Ma in che modo il cinema può curare? Quando ci identifichiamo con i personaggi, riviviamo sulla nostra pelle gli stessi sentimenti, paure e sofferenze che vengono interpretati dagli attori (tanto di più quanto più sono bravi): prendiamo quindi contatto con le nostre emozioni, comprese quelle più potenti o dolorose, pur mantenendo da esse una “distanza di sicurezza”, poiché le sperimentiamo standocene
seduti nelle nostre poltrone. Alle volte possono anche venire alla luce problemi irrisolti, di cui non siamo pienamente consapevoli. Inoltre il grande schermo aumenta la capacità di sognare e di ricordare, favorisce una riflessione sulle relazioni importanti della nostra vita e migliora la capacità di adottare il punto di vista dell’altro.
Il rispecchiamento Per comprendere meglio il potere del cinema, oggi ci vengono in aiuto anche le neuroscienze. Nel suo recente libro Lo schermo
empatico (Raffaello Cortina), lo scienziato Vittorio Gallese spiega che, grazie ai neuroni specchio, guardare un film non solo attiva il cervello visivo ma coinvolge anche quello motorio, quindi l’intero corpo. Questo meccanismo si chiama “simulazione incarnata”: immedesimandoci nei personaggi è come se letteralmente fossimo loro, poiché anche i nostri muscoli e i nostri organi interni entrano in risonanza.