Storie
Le mani distrutte dalle fratture dopo un incidente. La paura di non poter più suonare il pianoforte. E la forza di reinventarsi, con caparbietà e passione infinita. Fino a riprendere la carriera di concertista
« L’incidente non ha fermato la mia musica »
Un tranquillo weekend in campagna. Di quelli in cui parti per riconciliarti con la natura e con te stesso, liberare la mente e fare il pieno di ispirazione. Per un artista è una manna che si traduce in lettere, in pennellate o in note, come nel mio caso. Il mio weekend sui monti Sibillini era servito proprio a questo. Due giorni per ricaricarmi e ritrovarmi prima di rientrare a Roma. Sulla strada del ritorno la mia auto si è trovata nella traiettoria di un’altra. Pochi secondi e la vita ti cambia per sempre. Un elenco infinito di ossa fratturate, oltre cinquanta interventi chirurgici, otto anni di dialisi, un trapianto di rene: è il riassunto approssimativo del trauma fisico, a cui si aggiunge quello interiore. Quello nella testa e nell’anima, sconvolte per la paura di morire e per la prospettiva di non poter più suonare.
DOVEVO ESPRIMERMI DIVERSAMENTE Nel 2004 nessuno avrebbe scommesso su di me. Né sulla mia vita professionale. Ho cominciato a suonare il pianoforte a 5 anni, insegnavo al Conservatorio di Santa Cecilia ed ero un pianista in carriera. Mi ero formato a Salisburgo, Parigi e Mosca, specializzandomi in un repertorio tecnicamente molto complesso. Un tipo di esecuzione che ora non avrei più potuto affrontare a causa delle limitazioni imposte dalle fratture. Il trauma fisico aveva modificato profondamente anche la percezione del mio stesso corpo, delle braccia, delle mani, delle dita. Per esprimermi, avrei dovuto trovare una modalità diversa. Mi venne in soccorso Erik Satie, un compositore e pianista molto originale dei primi del ‘900: la sua storia, il suo percorso e soprattutto le reazioni che la sua innovativa musica suscita, quasi come se ascoltandola riuscissi a cogliere un certo modo di sentire la vita. Pensavo anche alla spontaneità e alla libertà dei grandi interpreti del jazz e alla loro capacità interpretativa così diversa dalla mia, impostata sulla tecnica esecutiva. Improvvisazione pianistica. Questo universo musicale poteva adattarsi alla mia nuova condizione fisica? Gli strumenti per saperlo erano il supporto costante di un psicoterapeuta, la forza di volontà, l’esercizio fisico e la determinazione ad allontanare il più possibile l’idea di non poter più suonare.
ALLA RICERCA DI UN’ENERGIA NUOVA Ricordo bene il mio primo approccio alla tastiera, dopo l’incidente. Riuscivo appena a suonare con un dito di ogni
mano. Ma ormai ero determinato e curioso, e l’idea di provare un’altra forma di espressione musicale era diventata una specie di molla. Mi sorprendevo a pensare al repertorio pianistico e alle sue infinite sfumature emotive, quasi come se fossero dei colori. E sentivo l’urgenza di investire tutte le energie nella ricerca di quei colori, lanciandomi in un percorso audace e impegnativo. Il desiderio di tornare a esprimermi era talmente forte che ho lavorato lottan- do contro il dolore pur di recuperare l’articolazione delle dita. Come un rito quotidiano, ogni giorno mi forzavo a stare al pianoforte e lo usavo come terapia per progettare la mia guarigione, la fine del travaglio. Insegnare al tuo corpo a riprendere a muoversi, a respirare, a vivere adeguando ogni fase alla tua nuova condizione, ai tuoi nuovi limiti e alle tue nuove potenzialità. Ho dovuto lavorare, e tanto, sull’equilibrio interiore per reimpostare il mio corpo e la mia vita.
IL MIO È STATO UN SALTO NEL BUIO Tornare al punto di partenza – sembrava che non avessi mai suonato il piano – è stato un processo fisico e psicologico durissimo. La prima cosa che fai, quando vivi un’esperienza del genere, è fare i conti con quello che avrebbe potuto capitarti. Continui a ripeterti che avresti potuto morire e che invece hai bucato l’appuntamento con la morte.
Ma se bastasse solo questo per stare meglio, sarebbe facile. Quel numero di fratture significa un livello di dolore fisico inimmaginabile. Significa ritrovarsi a dover dipendere da qualcuno, a sentirsi responsabile delle scelte di vita di mia moglie Claudia, che ha smesso di girare il mondo come assistente di volo per starmi accanto. Significa farsi un’infinità di domande, controllare la rabbia che ti sale, sperare che arrivi un rene, stancarsi per i viaggi verso gli ospedali, arrovellarsi pensando al futuro. Significa incontrare gruppi come la Fratellanza di Miriam, imparare teorie affascinanti sulle potenzialità del corpo umano e scoprire nuovi percorsi evolutivi.
ORA HO RICOMINCIATO A VIVERE
La musica mi ha salvato la vita e il virtuosismo emotivo è diventato il mio nuovo compagno di lavoro. Dopo mesi di esercizio, mi sono chiuso in sala di incisione e ho creato una musica completamente nuova, improvvisata, frutto dell’armonia fra tecnica ed emozione. Una straordinaria esperienza positiva che si è conclusa con la nascita di un gruppo di improvvisazione jazz. Un nome, La Matta, un cd, The Code, un concerto al Teatro Vascello di Roma. Con il tempo ho ritrovato un ritmo di studio regolare e la motivazione per tornare a insegnare a Santa Cecilia e a esibirmi in pubblico. Costruisco i concerti tenendo conto delle difficoltà tecniche e fisiche, anzi, usandole per esprimere emozioni. Sarò in grado di continuare? Me lo chiedo nei momenti di sconforto, quando il dolore ai polsi o alle braccia mi impone un riposo forzato dopo 4 o 5 ore di studio. Ma il cammino di rinascita è iniziato, con entusiasmo. Ricomincio a viaggiare e a progettare il futuro, puntando ad alti obiettivi. Sono stato invitato a suonare in Argentina e ho condiviso parte del mio repertorio su YouTube. Emozione e forza di volontà possono farti riprendere il filo dei sogni. C’è ancora tanta strada da fare.