Tutti vogliono arrampicare
Cresce il popolo dei climber. Perché in parete si impara a superare i propri limiti e ad avere fiducia negli altri
Piace e fa bene: in Italia sono circa 60 mila gli innamorati della verticalità. Un boom che ha portato il Comitato olimpico internazionale alla decisione di inserire il climbing a Tokyo 2020. Negli ultimi tre anni è triplicato il numero di spazi dedicati a questa disciplina: le pareti per l’arrampicata si trovano non solo nelle palestre o nei palazzetti dedicati, ma anche nei parchi dei bambini, nelle aree dei percorsi salute, nelle scuole. E persino sulle navi da crociera.
È TUTTA QUESTIONE DI TECNICA
Il climbing si pratica su un “muro” artificiale, più o meno alto e inclinato, con una serie di appigli, definiti prese, di colori diversi in base alla difficoltà del percorso, detto “via”. Per salire si indossa un imbrago che permette di assicurarsi con moschettoni e corda. Praticata al 70% dagli uomini, l’arrampicata è in ascesa tra le donne, che si appassionano alla disciplina quando scoprono che poco conta la potenza e che, invece, il segreto sta nella tecnica. Sport completo, rafforza la struttura muscolare della schiena e migliora l’e- quilibrio. È un continuo susseguirsi di trazioni con le braccia e spinte con le gambe quindi attiva glutei e quadricipiti, tonificando addome e spalle. Inoltre, richiede coordinazione, elasticità e costanza, ma anche concentrazione e una piena consapevolezza del proprio corpo.
INSEGNA “IL GIOCO DI SQUADRA”
Da non sottovalutare i benefici psicologici di questo sport: per salire in sicurezza è necessario coordinarsi con gli altri: un’esperienza interessante per “il gruppo”. «Non a caso è una disciplina molto richiesta dalle aziende per il team building. Scalare con il collega, con il capo, crea un forte legame, costringe a dare fiducia e a ottenerne quando si scambiano i ruoli», spiega Anna Borella, insegnante presso la palestra Rockspot di Pero (Milano). «Bisogna inoltre mettersi in gioco, guardare in faccia i propri limiti e provare a superarli. Per questo è un’ottima attività per i ragazzi disabili: impegnarsi in parete li aiuta ad andare oltre il loro handicap, a prenderne coscienza ma ad affrontarlo con positività. E quando riescono ad arrivare in alto si riempiono di soddisfazione e orgoglio». È una disciplina consigliata anche ai più piccoli: «Tengo regolarmente corsi di propedeutica a bimbi dai 3 ai 5 anni. Per loro è naturale, come correre e camminare. Hanno bisogno di poche nozioni, riescono a scalare in modo istintivo», continua Anna Borella, che è anche campionessa di bouldering, l’arrampicata su massi naturali o artificiali che non superano i 7-8 m di altezza e non prevedono corde di sicurezza. In questa “variante”, che si può apprendere a ogni età, ci si affida ai crash pad, materassini posizionati sotto la parete per attutire l’eventuale caduta.