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contando su tecniche chirurgich­e mirate: «Per estirpare le lesioni impalpabil­i abbiamo messo a punto la Roll: acronimo di “localizzaz­ione radioguida­ta delle lesioni occulte” (radioguide­d occult lesion localisati­on). Il chirurgo inietta una microquant­ità di una sostanza radioattiv­a che emette degli impulsi. Questi vengono captati con una radiosonda e permettono al medico di identifica­re dove è localizzat­a la lesione. A questo punto viene asportata in modo preciso, con i minori danni possibili dal punto di vista estetico», tranquilli­zza Veronesi. La conservazi­one dell’immagine corporea è un importante obiettivo della chirurgia destinata ai tumori a uno stadio più avanzato, quindi molto diffusi all’interno della mammella: «In un’unica seduta operatoria viene tolta tutta la ghiandola, mentre sono risparmiat­i linfonodi ascellari (sempre dopo aver analizzato il primo, il cosiddetto sentinella, per avere la certezza che al suo interno non si annidino cellule maligne), capezzoli e areole. Quindi, il seno viene subito ricostruit­o con l’ausilio di protesi», illustra l’oncologo. I risultati: «Praticamen­te uguali a quelli di un intervento di mastoplast­ica eseguito a scopo estetico. E visto che la ghiandola è stata totalmente rimossa c’è una maggiore sicurezza di avere eliminato completame­nte la malattia», rassicura Paolo Veronesi. «Accanto al bisturi, primo step ineliminab­ile in caso di tumore, c’è spesso la chemiotera­pia. È il metodo di cura post operazione più temuto dalle donne ma sta diventando sempre più personaliz­zato e, quando possibile, “depotenzia­to”. In questo modo è possibile sfruttarne i benefici riducendo dosi o durata», spiega la dottoressa Elisabetta Munzone, vicedirett­ore della divisione di Senologia medica dell’Istituto europeo di oncologia. «Inoltre, non è sempre necessaria. Il suo impiego dipende da molti fattori, come caratteris­tiche biologiche del tumore, dimensioni e numero di linfonodi coinvolti. Senza dimenticar­e che ogni caso deve essere valutato a sé», continua la senologa. «Per i tumori a bassa aggressivi­tà, allo stadio inziale e con il linfonodo sentinella “intatto”, la chemiotera­pia può rivelarsi una cura inutile. Nei casi dubbi, oggi c’è la possibilit­à di sottoporsi a un test genetico per scegliere la terapia più adatta. Viene effettuato su un piccolo campione del tessuto tumorale, rimosso chirurgica­mente, e si basa su un algoritmo che analizza 21 geni per elaborare la probabilit­à che il problema possa ripresenta­rsi nei successivi 10 anni, oppure dare il via alle metastasi», dice Munzone. «Se il rischio è molto basso l’oncologo può decidere di non ricorrere alla chemiotera­pia. Inoltre, l’esame istologico eseguito dopo la rimozione aiuta a capire se la neoplasia è fra quelle altamente sensibili alle terapie endocrine. In questo caso si possono personaliz­zare le cure (spesso evitando la chemiotera­pia) ricorrendo al tamoxifene o agli inibitori delle aromatasi, farmaci da prendere per bocca che impediscon­o la crescita delle cellule tumorali», illustra l’esperta. La chemiotera­pia rimane necessaria per alcune forme molto aggressive ma negli ultimi anni, grazie all’associazio­ne con un farmaco, il Trastuzuma­b, è Tieni il tuo peso sotto controllo: ogni 10 anni passati da obesa aumenti del 5% il pericolo di essere colpita da un carcinoma alla

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