«HO FATTO IL LIFTING AL CUORE»
Mariarosa, dopo un infarto, ha vissuto per anni a metà. Ma poi, grazie al bisturi, è tornata quella di sempre
Èl’8 settembre del 2000 e, all’improvviso, accuso un dolore alla schiena. Non ci faccio caso: c’è stato un brusco calo delle temperature, probabilmente è solo l’effetto di un colpo di freddo. Il giorno successivo da Valdagno (provincia di Vicenza), dove vivo, vado con mio figlio a Schio a fare shopping, ma le fitte si fanno ancora sentire. Anzi, aumentano, mi si addormenta addirittura la mano sinistra. Con le poche forze che mi rimangono, mi metto in macchina, torno a casa, ma quando salgo i tre piani di scale per raggiungere il mio appartamento, non riesco neppure a sorreggere la borsa. Mi sembra di morire: sento come un pugnale conficcato nella schiena, sudo tantissimo e avverto una forte nausea. Non resisto più, chiamo la guardia medica. Il medico prova a farmi un’iniezione di un antidolorifico: ma è acqua fresca. Decide di chiamare un’ambulanza. Mentre sono distesa sul divano la mia cagnetta mi dà conforto e, quasi abbia intuito cosa sta succedendo, mi lecca proprio all’altezza del cuore. Mi trasportano all’ospedale di Arzignano e, dopo gli accertamenti il verdetto non lascia dubbi: a soli 48 anni ho avuto un infarto così devastante che i medici mi danno poche ore di vita. ERO CANDIDATA AL TRAPIANTO
Il destino, invece, è dalla mia parte. Sopravvivo, anche se il mio cuore è letteralmente distrutto: l’infarto lo ha deformato, dilatando il ventricolo sinistro e lasciando una grossa cicatrice. Nonostante ciò, mi dimettono velocemente perché hanno bisogno di “liberare” un letto per nuove degenze, prescrivendomi una cardioaspirina. Mi rivolgo perciò a un cardiologo che mi consiglia un ricovero all’ospedale di Padova dove, dopo una serie di esami, non mi danno molte speranze. Il mio cuore è compromesso a tal punto che, prima o poi, sono candidata al trapianto. È una doccia fredda: pensare di poter sopravvivere grazie al dono di qualcuno che ha perso la vita mi dà i brividi e mi fa sprofondare nello sconforto totale. Per di più, nell’attesa, devo seguire un serrato programma di riabilitazione per “imparare” nuovamente a camminare, a respirare… insomma, a vivere, anche se con una tremenda spada di Damocle sulla testa.
HO DOVUTO LASCIARE IL MIO LAVORO Nei due anni successivi l’ospedale di Padova diventa la mia seconda casa: devo fare un ricovero dopo l’altro perché sono soggetta a continue tachicardie, ma grazie ai farmaci, le mie condizioni rimangono più o meno stabili. Mi trasferisco però a casa dei miei genitori, dove c’è l’ascensore, perché non ce la faccio proprio a salire le scale a piedi. Inoltre devo rinunciare al mio lavoro da artigiana perché i medici non mi danno altra scelta: ne va della mia vita. Nel 2008, ripiego su un “tranquillo” lavoro da impiegata. Le colleghe continuano a dirmi che devo consultare un secondo centro cardiologico: ho un’aria distrutta, un colorito grigiastro e un altro parere medico potrebbe essere utile. È dalla loro affettuosa insistenza, che parte la mia rinascita. Nel 2010, alcuni amici mi inviano una mail con l’invito a una conferenza sulle cardiopatie tenuta da un famoso cardiochirurgo dell’ospedale San Donato di Milano. Cerco di sapere se lo specialista visita anche nella mia Regione e scopro che qualche volta lavora in un centro di Vicenza. Visto che il trapianto di cuore è ormai
SONO PASSATI SETTE ANNI DALL’OPERAZIONE E HO RIPRESO TUTTE LE MIE ATTIVITÀ PREFERITE, COMPRESO IL BALLO. LA MIA GRANDE PASSIONE
l’unica chance che mi rimane, fisso immediatamente un appuntamento. Mi presento da lui con tutta la documentazione sanitaria. La guarda e inquadra immediatamente il mio problema. Perciò mi propone di effettuare un check mirato nell’ ospedale di Milano dove lavora. POI LA SVOLTA DECISIVA
Nel giro di un paio di giorni sono in partenza e, dopo un pacchetto serratissimo di esami, mi viene proposto un intervento molto delicato ma capace di rimodellare il mio cuore, eliminare la cicatrice e ridargli una nuova funzionalità, allontanando per sempre lo spettro del trapianto. Ho un lungo colloquio con il chirurgo che mi opererà: seduto sul bordo del letto dove sono ricoverata, mi dà tutte le informazioni su quel che mi aspetta, con i pro e i contro, chiarendo dubbi e perplessità. Lo fa con semplicità e chiarezza, ma soprattutto creando un rapporto di fiducia e di complicità che mi dà forza. Mi sento parte attiva di un team e accetto convinta l’appuntamento in sala operatoria.
La mattina dell’operazione sono tranquilla, l’ultima cosa che ricordo prima che mi addormentino è l’orologio che segna le 7. Quando mi risveglio sono ormai le 5 del pomeriggio: sono nel reparto di rianimazione e sono viva! L’intervento è riuscito perfettamente.
ORA SONO PIENA DI ENERGIA
Da allora sono passati quasi 7 anni e mi sono riappropriata pian piano della mia vita: ho adottato un altro cane, con cui faccio lunghe passeggiate, e a breve arriveranno altri due cagnolini a dar manforte all’allegra compagnia. Ho ricominciato a uscire con gli amici, ho traslocato in una casa dove non c’è l’ascensore perché le scale non sono più montagne da scalare e ho un grande terrazzo dove coltivo, senza risparmio di energie, il mio hobby preferito: il giardinaggio. E poi sono tornata nuovamente a ballare, una passione che avevo dovuto abbandonare: quando piroetto in pista sulle note di un valzer, un tango o di una mazurca, sento che il mio cuore non mi abbandonerà mai. Il pensiero va ai medici chi mi hanno ridato una seconda vita e non posso che rivolgere loro un grazie. Di cuore!