Come si può vivere sotto la minaccia di una grave patologia?
Dopo la diagnosi di una patologia che mette a rischio la vita, si può reagire in due modi diametralmente opposti: da un lato c’è chi attiva strategie di “sfida” nei confronti della malattia e delle limitazioni che questa comporta. L’esempio più attuale e noto è quello della ministra della difesa spagnola Carme Chacòn, morta recentemente a 46 anni: pur sapendo di avere una grave malformazione cardiaca, non ha rinunciato a una vita fitta di impegni e di eventi stressanti. Altri, invece, cambiano drasticamente le loro abitudini, fino a identificarsi con la malattia. Tutto, per loro, è scandito dalla paura che da un momento all’altro potrebbero morire. Queste persone adottano una strategia di rigido controllo che le porta a essere ansiose e ipervigili, con la conseguenza che gli eventuali sintomi vengono spesso amplificati nel tentativo di tenerli a bada. Entrambe le reazioni sono meccanismi di difesa, nell’ottica della sopravvivenza psicologica ed emotiva. La cosa migliore è cercare di non chiudersi: è bene scegliere una persona di cui ci si fida con cui parlare delle proprie paure. Un momento di smarrimento è normale, al momento della diagnosi. Ma poi è importante non stravolgere le proprie abitudini. Condividendo le proprie ansie e vivendo la quotidianità senza eccessi di spericolatezza o di prudenza, si troveranno le risorse per guardare al futuro con più serenità.