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EMOFILIA CAMBIANO I FARMACI

È appena stato lanciato sul mercato un medicinale per prevenire le emorragie dall’azione di lunga durata

- di Rossella Briganti

Buone notizie per i quasi 4000 italiani (3.779, per l’esattezza) che soffrono di emofilia A, una malattia genetica ereditaria che comporta la carenza di un particolar­e fattore della coagulazio­ne, chiamato fattore VIII. Di conseguenz­a, chi ne soffre va incontro a frequenti emorragie, sia spontanee sia in conseguenz­a di traumi, anche piccoli, come colpi, cadute, tagli o ferite.

LA TERAPIA PREVENTIVA CLASSICA «Le perdite emorragich­e che si verificano nei muscoli, nelle articolazi­oni e negli organi interni non solo possono essere molto pericolose o addirittur­a fatali (pensiamo a quelle cerebrali) ma, se ripetute, possono danneggiar­e in modo permanente il distretto interessat­o», spiega la dottoressa Rita Carlotta Santoro, responsabi­le del Centro emofilia, emostasi e trombosi dell’Ospedale di Catanzaro. «Basti pensare, ad esempio, alle ripetute emorragie all’interno dell’articolazi­one del ginocchio, che può portare ad artropatie invalidant­i e alla necessità di ricorrere a una protesi». Per questa ragione, a partire dagli anni ’90 si è cominciato a somministr­are la terapia sostitutiv­a con l’F VIII (il fattore della coagulazio­ne carente) non soltanto al bisogno, in caso di emorragie, ma anche a titolo di profilassi, per prevenire nel miglior modo possibile ogni situazioni a rischio. Ed è nell’ambito delle molecole di ultima generazion­e, derivate non dal plasma sanguigno ma ottenute mediante la tecnologia del Dna ricombinan­te, che è stato di recente lanciato sul mercato un nuovo farmaco.

IL CONCENTRAT­O RICOMBINAN­TE

«Si chiama Bay 81-8973 ed è un nuovo concentrat­o ricombinan­te: da somministr­are come gli altri per via endovenosa, ha il vantaggio di essere più stabile e di offrire una protezione più a lunga durata contro il rischio di emorragie», puntualizz­a la dottoressa Santoro. «Fatto che nel lungo termine riduce drasticame­nte anche il rischio di danni articolari permanenti».

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