Aiuto, mio figlio è nella preadolescenza!
Né carne né pesce, si diceva una volta. In mezzo al guado tra infanzia e giovinezza, trovare un equilibrio non è facile. I genitori possono aiutare così
Dopo la gestazione, il periodo della preadolescenza è quello in cui il corpo subisce le più grandi e visibili trasformazioni. I manuali circoscrivono questi cambiamenti in una manciata di anni, dai 9 ai 12-13 circa. Poi è adolescenza conclamata. «Non è molto che studiamo e ci occupiamo di questa età della vita. E il motivo è che si tratta di una fase sempre più precoce», spiega Elena Buday, psicoterapeuta dell’età evolutiva dell’istituto di analisi dei codici affettivi Minotauro di Milano ( minotauro.it). «La pubertà, infatti, provoca a 9-10 anni cambiamenti che 30-40 anni fa avvenivano verso la fine delle medie. Questo può turbare e far sentire sotto pressione: fisicamente i ragazzini cominciano ad apparire più grandi e strutturati ma, dal punto di vista emotivo e psicologico, sono ancora vicini all’infanzia: piccole donne e piccoli uomini con la testa di bambini di 10 anni». In questa “terra di nessuno”, in cui all’improvviso il corpo dei figli aumenta rapidamente di statura e peso, prende rotondità e muscoli e fa spuntare peli e brufoletti, a muoversi disorientati sono anche i genitori.
TROVARE LA GIUSTA DISTANZA
Con un ragazzino di 10-11 anni non si può più essere protettivi come si farebbe con un bambino piccolo. Ma neppure avere le aspettattive che si potrebbero avere verso un adulto. «Il
genitore che si mette accanto al figlio per fare i compiti, non gli permette di uscire da solo, sceglie i vestiti per lui o gli proibisce di chiudere la porta del bagno interferisce con la sua crescita, non rispetta la sua privacy e crea continue occasioni di conflitto. La preadolescenza è l’età delle sperimentazioni e dei pomeriggi chiusi in cameretta. È l’età in cui i figli, alla ricerca di un’identità, possono cominciare a esprimere gusti e passioni non necessariamente condivisi da mamma e papà. E a manifestare insofferenza per le regole. Ma, invece di reprimerli e giudicarli, i genitori dovrebbero riuscire a fare le giuste concessioni su uscite e orari, pur continuando a tenere d’occhio – dalla giusta distanza - comportamenti, stile di vita, rendimento nello studio e così via». Allo stesso tempo, trattarli come adulti è un errore perché li carica di responsabilità e stress in un’età in cui devono avere ancora spazio il gioco, il perdere tempo, lo sport, i pomeriggi con i compagni: un preadolescente lasciato troppo a se stesso rischia di perdersi e può sviluppare forme di ansia.
OCCHIO AI SEGNALI CONFUSI
Un altro rischio, con i figli di questa età, è cercare di rapportarsi a loro come genitori-amici. «Ascoltare la musica che piace ai dodicenni, fare domande sui loro amici o sulle ultime tendenze in fatto di look, per fare degli esempi, va bene all’interno di un dialogo che è scambio e in cui ognuno rimane nel proprio ruolo», continua Elena Buday. «Scimmiottare i figli nel linguaggio o nell’abbigliamento, nella convinzione che questo porti ad avere avere “un bel rapporto”, invece, è un errore. Che mette in imbarazzo i ragazzi e fa perdere autorevolezza agli adulti: i nostri figli non vogliono essere i nostri amici. Quelli se li trovano a scuola, tra i coetanei. A casa, invece, hanno bisogno di punti di riferimento certi, non di adulti che mandano segnali confusi. È bene che cominciamo ad accettare la bellezza dell’essere adulti, nonostante la nostra società attraversi un momento di confusione in cui sembra che tutti vogliano essere eterni adolescenti».
PAZIENZA, INNANZITUTTO
Oggi sappiamo che il cervello di un preadolescente è diverso da quello di un diciassettenne e che questo, a sua volta, ha una mente differente da quella di un adulto. «Mano a mano che cresciamo, si attivano e si raffinano i lobi prefrontali, cioè le aree cerebrali responsabili del pensiero logico e riflessivo», spiega Alberto Pellai, psicologo dell’età evolutiva e autore, a quattro mani con la moglie Barbara Tamborini, del libro L’età dello tsunami (De Agostini, 12,50 €). «In preadolescenza, invece, a dominare sono le emozioni, le aree del “sentire” più che quelle del “pensare”. Ecco perché ragazzini e ragazzine rifuggono la fatica, riflettono poco o nulla e cercano continue occasioni per divertirsi e provare piacere senza curarsi delle conseguenze delle loro azioni. Non è colpa del nostro lavoro di educatori, è proprio una caratteristica fisiologica dovuta all’età. Con un figlio di 12 anni dobbiamo armarci di pazienza e diventare la parte pensante che a lui, in questo momento, manca. In una parola, dobbiamo essere noiosi: ricordargli i suoi doveri, il valore dell’impegno, il rispetto delle regole fissate per la sua crescita e non per sadismo».
L’IMPORTANZA DELL’ORGANIZZAZIONE Se i figli, a quest’età, cominciano a negoziare i loro spazi di libertà, i genitori, da parte loro, devono inserirli in una perfetta organizzazione. «Non si può improvvisare: loro approfitterebbero subito della nostra incoerenza», continua Pellai. «Un ragazzo, per esempio, deve sapere che, dopo la scuola e un po’ di relax, per un’ora o un’ora e mezza (il tempo dello studio e dei compiti) deve spegnere e dimenticarsi del cellulare. Meglio ancora se lo consegna ai genitori. Il messaggio è chiaro: mamma e papà fissano i paletti di una cornice in cui è sostenuto lo spazio del pensiero, presidiano la sua educazione, anche se a distanza. E pazienza se, visto che nessun ragazzino muore dalla voglia di studiare, si sentiranno dire che sono dei rompiscatole. Ricordiamo che il nostro compito non è gratificare o essere gratificati dai figli, ma educarli, anche alla fatica».