Giochi e vivi meglio
Ti ricordi com’eri felice quando fingevi di essere una fata o trattenevi il fiato nel tuo nascondiglio mentre gli amici ti cercavano? Puoi sentirti così anche ora
Divertirsi, ridere, lasciarsi andare, smuovere energie positive. In una parola: giocare. Lo fanno tutti gli esseri viventi. Persino i ragni, assicurano gli etologi. Per gli animali, cuccioli o adulti che siano, è un’esigenza biologica indispensabile a elaborare strategie di sopravvivenza. Anche per i bambini è puro istinto: un modo per scoprire il mondo e mettersi alla prova, con serietà e insieme leggerezza. Peccato però che, una volta varcata la soglia della maturità, il gioco smetta di essere l’essenza, il filo conduttore della realizzazione personale, per diventare un’alternativa (spesso poco o per nulla praticata) alla vita di tutti i giorni.
LIBERA LA FANTASIA
Non c’è tempo da perdere, non è serio, non siamo più bambini. Schiacciati dalle regole, dai tempi da rispettare, dal senso del dovere, molti adulti cancellano la giocosità dalle loro giornate. Niente di più sbagliato. «Il gioco non è un linguaggio che appartiene esclu- sivamente ai piccoli e non va vissuto in antitesi con la serietà e l’impegno che mettiamo nel fare le nostre cose», esordisce lo psicoanalista Giuseppe Maiolo, autore del libro Mamma, che ridere! (Erickson, 13 €) in cui spiega proprio come sintonizzarci sulla capacità dei nostri figli di crescere attraverso l’apprendimento ludico. «Dobbiamo considerare che giocare, proprio come sognare, risponde a un bisogno profondissimo, quello di lasciare la psiche libera di esprimere e accettare parti di noi diverse da quelle già note agli altri e alla nostra consapevolezza. Per questo, eliminare il gioco completamente ci costringe alla monotonia e alla rigidità, limita il nostro sguardo a categorie fisse, delimitate dalla razionalità». Le parole dello psicoanalista ci riportano a un’esperienza che tutti, da bambini, abbiamo fatto almeno una volta: quella del “facciamo finta che…”. Bastava un attimo per trasformarci in dottori, astronauti, maestri e creare un mondo alternativo, meraviglioso e impossibile, che ci portava lontano, a contatto con modi diversi di essere e di agire. Sì, perché la giocosità chiama in causa la fantasia, la creatività, l’immaginario. Ma se i bimbi hanno a disposizione bambole, trenini, altalene e costruzioni, un adulto con che cosa gioca? «Giocare non è soltanto dedicarsi a un’attività ludica», prosegue Maiolo. «È soprattutto
uno stato d’animo, una predisposizione mentale, un approccio alla vita che non è semplice divertimento fine a se stesso, ma regala molti vantaggi a chi lo mette in pratica».
RISCOPRI IL BAMBINO INTERIORE
Non possiamo essere tutti tipi da “parco avventura”. In psicologia si usa l’e- spressione molto calzante di “bambino interiore” per indicare quella parte di noi che mantiene le caratteristiche dell’infanzia: saper ridere, stupirsi, provare curiosità, sperimentarsi con spontaneità, cercare ciò che ci fa stare bene e allontanarci da ciò che non ci piace. «E questo possiamo metterlo in pratica sempre, in ogni momento della nostra giornata», suggerisce l’esperto. «Chi vive con giocosità ha ben integrato il proprio bambino interiore con le parti più adulte legate all’impegno, al senso del dovere, alla responsabilità», prosegue. «Il che significa che è capace di lasciarsi andare e al tempo stesso di controllare gli eccessi, di guardare alla vita con leggerezza pur tenendo
i piedi per terra. Niente a che vedere con gli eterni bambini, i Peter Pan, che vivono invece sempre e soltanto nella dimensione ludica, rimanendo in superficie e non prendendo niente sul serio». Numerosi studi e ricerche dimostrano che giocare, nella sua accezione più ampia, fa bene alla mente, alle relazioni e anche alla realizzazione professionale. «Il gioco apre spiragli di felicità perché ci mette in contatto con la nostra vitalità», osserva Ennio Peres, scrittore, enigmista e autore di giochi. «Vale sempre la pena di soffermarsi a pensare quali aspetti ludici della nostra esistenza abbiamo soffocato e cercare di tirarli di nuovo fuori».
NON È MAI TROPPO TARDI
Ma, una volta perduta, è possibile riportare questa attitudine nel nostro mondo? La risposta è sì, magari facendoci aiutare da una scatola di quiz, da un cruciverba o da un gioco di ruolo, per poi arrivare alla conquista di uno stile di vita più leggero e creativo. Lo psicoanalista ci suggerisce alcuni step. «Ripensiamo alle nostre esperienze di bambini», esorta. «Cerchiamo di ricordare con chi giocavamo, a che cosa e come ci faceva sentire. Da adulti potremmo ripetere quelle esperienze attraverso le nostre passioni. Ci piace suonare uno strumento, scattare foto, andare a correre, visitare le mostre d’arte? Ecco tante occasioni ludiche da assecondare e magari condividere con altre persone». Il gioco, poi, è movimento, cambiamento costante di ruoli e situazioni. «I bimbi spesso ci irritano perché non stanno mai fermi, ma in questo modo si esprimono e gestiscono le loro emozioni», spiega Maiolo. «Gli adulti sono troppo statici. Muoversi, invece, è divertente, offre punti di vista diversi. Proviamo allora a fare più atti- vità fisica e a introdurre piccole novità che movimentino la nostra routine: per esempio a tavola, durante i pasti, non sediamoci sempre nello stesso posto, scambiamoci con i nostri commensali. Sarà come guardarli con occhi nuovi». Il gioco infine è intuizione, è “problem solving”, per usare un termine legato anche al mondo professionale. «Il bam- bino usa il gioco per prepararsi alla vita, capire come funzionano le cose e come reagiscono gli altri», dice ancora Maiolo. «Perché, allora, anche noi non proviamo a esplorare ciò che non conosciamo, a percorrere strade diverse da quelle note, lasciando che l’intuito ci guidi fuori dagli schemi, verso soluzioni alle quali non avevamo mai pensato?».
ESCLUDERE IL GIOCO DALLA NOSTRA VITA CI COSTRINGE ALLA MONOTONIA E LIMITA IL NOSTRO SGUARDO ALLA SOLA RAZIONALITÀ.