Starbene

Giochi e vivi meglio

Ti ricordi com’eri felice quando fingevi di essere una fata o trattenevi il fiato nel tuo nascondigl­io mentre gli amici ti cercavano? Puoi sentirti così anche ora

- di Barbara Gabbrielli

Divertirsi, ridere, lasciarsi andare, smuovere energie positive. In una parola: giocare. Lo fanno tutti gli esseri viventi. Persino i ragni, assicurano gli etologi. Per gli animali, cuccioli o adulti che siano, è un’esigenza biologica indispensa­bile a elaborare strategie di sopravvive­nza. Anche per i bambini è puro istinto: un modo per scoprire il mondo e mettersi alla prova, con serietà e insieme leggerezza. Peccato però che, una volta varcata la soglia della maturità, il gioco smetta di essere l’essenza, il filo conduttore della realizzazi­one personale, per diventare un’alternativ­a (spesso poco o per nulla praticata) alla vita di tutti i giorni.

LIBERA LA FANTASIA

Non c’è tempo da perdere, non è serio, non siamo più bambini. Schiacciat­i dalle regole, dai tempi da rispettare, dal senso del dovere, molti adulti cancellano la giocosità dalle loro giornate. Niente di più sbagliato. «Il gioco non è un linguaggio che appartiene esclu- sivamente ai piccoli e non va vissuto in antitesi con la serietà e l’impegno che mettiamo nel fare le nostre cose», esordisce lo psicoanali­sta Giuseppe Maiolo, autore del libro Mamma, che ridere! (Erickson, 13 €) in cui spiega proprio come sintonizza­rci sulla capacità dei nostri figli di crescere attraverso l’apprendime­nto ludico. «Dobbiamo considerar­e che giocare, proprio come sognare, risponde a un bisogno profondiss­imo, quello di lasciare la psiche libera di esprimere e accettare parti di noi diverse da quelle già note agli altri e alla nostra consapevol­ezza. Per questo, eliminare il gioco completame­nte ci costringe alla monotonia e alla rigidità, limita il nostro sguardo a categorie fisse, delimitate dalla razionalit­à». Le parole dello psicoanali­sta ci riportano a un’esperienza che tutti, da bambini, abbiamo fatto almeno una volta: quella del “facciamo finta che…”. Bastava un attimo per trasformar­ci in dottori, astronauti, maestri e creare un mondo alternativ­o, meraviglio­so e impossibil­e, che ci portava lontano, a contatto con modi diversi di essere e di agire. Sì, perché la giocosità chiama in causa la fantasia, la creatività, l’immaginari­o. Ma se i bimbi hanno a disposizio­ne bambole, trenini, altalene e costruzion­i, un adulto con che cosa gioca? «Giocare non è soltanto dedicarsi a un’attività ludica», prosegue Maiolo. «È soprattutt­o

uno stato d’animo, una predisposi­zione mentale, un approccio alla vita che non è semplice divertimen­to fine a se stesso, ma regala molti vantaggi a chi lo mette in pratica».

RISCOPRI IL BAMBINO INTERIORE

Non possiamo essere tutti tipi da “parco avventura”. In psicologia si usa l’e- spressione molto calzante di “bambino interiore” per indicare quella parte di noi che mantiene le caratteris­tiche dell’infanzia: saper ridere, stupirsi, provare curiosità, sperimenta­rsi con spontaneit­à, cercare ciò che ci fa stare bene e allontanar­ci da ciò che non ci piace. «E questo possiamo metterlo in pratica sempre, in ogni momento della nostra giornata», suggerisce l’esperto. «Chi vive con giocosità ha ben integrato il proprio bambino interiore con le parti più adulte legate all’impegno, al senso del dovere, alla responsabi­lità», prosegue. «Il che significa che è capace di lasciarsi andare e al tempo stesso di controllar­e gli eccessi, di guardare alla vita con leggerezza pur tenendo

i piedi per terra. Niente a che vedere con gli eterni bambini, i Peter Pan, che vivono invece sempre e soltanto nella dimensione ludica, rimanendo in superficie e non prendendo niente sul serio». Numerosi studi e ricerche dimostrano che giocare, nella sua accezione più ampia, fa bene alla mente, alle relazioni e anche alla realizzazi­one profession­ale. «Il gioco apre spiragli di felicità perché ci mette in contatto con la nostra vitalità», osserva Ennio Peres, scrittore, enigmista e autore di giochi. «Vale sempre la pena di soffermars­i a pensare quali aspetti ludici della nostra esistenza abbiamo soffocato e cercare di tirarli di nuovo fuori».

NON È MAI TROPPO TARDI

Ma, una volta perduta, è possibile riportare questa attitudine nel nostro mondo? La risposta è sì, magari facendoci aiutare da una scatola di quiz, da un cruciverba o da un gioco di ruolo, per poi arrivare alla conquista di uno stile di vita più leggero e creativo. Lo psicoanali­sta ci suggerisce alcuni step. «Ripensiamo alle nostre esperienze di bambini», esorta. «Cerchiamo di ricordare con chi giocavamo, a che cosa e come ci faceva sentire. Da adulti potremmo ripetere quelle esperienze attraverso le nostre passioni. Ci piace suonare uno strumento, scattare foto, andare a correre, visitare le mostre d’arte? Ecco tante occasioni ludiche da assecondar­e e magari condivider­e con altre persone». Il gioco, poi, è movimento, cambiament­o costante di ruoli e situazioni. «I bimbi spesso ci irritano perché non stanno mai fermi, ma in questo modo si esprimono e gestiscono le loro emozioni», spiega Maiolo. «Gli adulti sono troppo statici. Muoversi, invece, è divertente, offre punti di vista diversi. Proviamo allora a fare più atti- vità fisica e a introdurre piccole novità che movimentin­o la nostra routine: per esempio a tavola, durante i pasti, non sediamoci sempre nello stesso posto, scambiamoc­i con i nostri commensali. Sarà come guardarli con occhi nuovi». Il gioco infine è intuizione, è “problem solving”, per usare un termine legato anche al mondo profession­ale. «Il bam- bino usa il gioco per prepararsi alla vita, capire come funzionano le cose e come reagiscono gli altri», dice ancora Maiolo. «Perché, allora, anche noi non proviamo a esplorare ciò che non conosciamo, a percorrere strade diverse da quelle note, lasciando che l’intuito ci guidi fuori dagli schemi, verso soluzioni alle quali non avevamo mai pensato?».

ESCLUDERE IL GIOCO DALLA NOSTRA VITA CI COSTRINGE ALLA MONOTONIA E LIMITA IL NOSTRO SGUARDO ALLA SOLA RAZIONALIT­À.

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