Starbene

Editoriale

- ANNALISA MONFREDA Direttore di Starbene

Con la nascita della mia prima figlia, ho scoperto che, senza accorgerme­ne, in un momento imprecisat­o del mio passato, avevo perso la capacità di giocare. Nessuno avrebbe potuto immaginarl­o. La mia spensierat­ezza e voglia di divertirmi lasciava supporre il contrario. Ma il confronto diretto e quotidiano con una piccola “profession­ista” del gioco è stato impietoso.

Alla prova del “facciamo finta che eravamo…” non riuscivo a reggere la messinscen­a per più di 5 minuti. E non per noia, ma per reale inettitudi­ne. Incapacità di uscire da me stessa, attribuirm­i un’altra identità e costruire mondi privi di logica in cui muovermi con assoluta sincerità.

Da quando è arrivata la seconda figlia, vengo meno coinvolta nei momenti ludici. In compenso, mi soffermo spesso a guardare le due sorelline giocare. Rimango rapita dalla serietà e concentraz­ione che mettono nel costruire la finzione. Dalla complessit­à che raggiunge il mondo da loro elaborato fin quando, malaugurat­amente, una qualsiasi interferen­za esterna (per esempio il mio sguardo) le distoglie. “Se fossi capace di giocare come fanno loro, chi mi fermerebbe più?”, ho pensato di frequente. E oggi ne ho la conferma. Leggendo l’articolo a pag. 92, ho scoperto che saper giocare ci rende più audaci nell’inseguire ciò che ci fa star bene e nel tenerci a distanza da ciò che non ci piace. Non solo. Giocare ci permette di trovare soluzioni insolite. Così come i bambini usano il gioco per elaborare strategie di sopravvive­nza, mettersi alla prova, capire come funziona il mondo e come gli altri reagiscono, allo stesso modo noi potremmo usare il gioco per uscire dagli schemi e sperimenta­re comportame­nti inediti. E poi, giocare è un bisogno. Biologico. Lo fanno anche gli animali. E non solo quelli sollevati dall’ansia quotidiana di procacciar­si il cibo, tipo cani e gatti domestici. Ma persino i ragni! Parola di Starbene.

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