Siamo guariti dall’epatite C. Anche con l’amore
Massimiliano e Anna hanno affrontato e vinto una malattia difficile. E ora sono impegnati nell’aiutare gli altri
Massimiliano e Anna sono marito e moglie: a farli incontrare è stata una malattia, l’epatite C, che ha segnato molti anni della loro esistenza. Ma dopo tante sofferenze hanno riconquistato la salute e la voglia di vivere: ora lavorano insieme in un’associazione senza fini di lucro, EpaC, per aiutare chi si imbatte nel temibile virus. Ecco la loro testimonianza a due voci.
LUI: È UN PROBLEMA CHE TI ISOLA «Ho 44 anni e vivo a Roma. L’epatite mi ha cambiato la vita più di una volta. Era stato mio fratello a suggerirmi di fare il test: alla nascita avevo ricevuto una trasfusione perché mia madre era Rh negativa. Donatore mio zio, che avrebbe scoperto solo negli anni Novanta (quando cominciarono i controlli) di essere positivo al virus dell’epatite C. Io non avevo mai avuto disturbi. Quando ebbi il risultato mi crollò il mondo addosso: “È finita. Devo morire”, pensai. Ero ancora un ragazzo, ma pensavo che non valesse più la pena né di studiare né di darmi obiettivi nella vita. Cominciai a peregrinare da un ospedale all’altro: Firenze, Milano, Salerno, Torino... Spesso pensavano che fossi un tossicodipendente. Per non dover confessare la malattia, rinunciavo ad avere relazioni con le donne. Ho cominciato a capire che non avevo nulla di cui vergognarmi nel 1998, quando sono capitato nel forum di EpaC onlus. Pensavo di essere l’unico sfortunato. Invece al primo incontro mi trovai con persone come me: un impiegato di banca, un poliziotto, un padre di famiglia. Fare coming out è stata la prima vittoria, perché mi ha ridato la libertà. Cominciai così a fare volontariato nell’associazione (oggi ne sono vicepresidente), restituendo un po’ di quello che ricevevo. Ho tentato cinque terapie (tre sperimentali) in dieci anni: 47 mesi di interferone e ribavirina. Con effetti collaterali devastanti. A cinque anni dalla scoperta dell’infezione, un’altra pessima notizia: ero arrivato alla cirrosi epatica. La malattia cavalcava, io cercavo disperatamente di assumere i farmaci, anche se ormai potevo nutrirmi solo di patate lesse e dovevo andare in bagno cinque volte al giorno. Ho lasciato la mia ragazza, la mia famiglia, e sono andato a vivere in una stanza nel mio ufficio. A volte ho pensato anche di farla finita. Per fortuna il 1° aprile 2013, appena compiuti 40 anni, ho cominciato a Palermo una
terapia con i nuovi farmaci antivirali e sono finalmente guarito. Ci ho messo un po’ a capire che era tutto vero. Dopo due anni da single, a un congresso dell’associazione ho conosciuto Anna. Mi piaceva. Un conoscente comune ci invitò a trascorrere il Capodanno in montagna. E ad agosto dell’anno scorso ci siamo sposati...»
LEI: MI SENTIVO SPORCA
«Ho scoperto la malattia a 30 anni, quando ho fatto la mia prima donazione di sangue all’Avis. Anche io ero stata emotrasfusa alla nascita e non avevo mai avuto problemi. E anche per me la scoperta fu sconvolgente. Doppiamente, perché ero incinta: il mio compagno dell’epoca, che già aveva preso male la notizia della gravidanza, mi lasciò. Io non ce la feci a reggere tutto quel peso da sola, e la interruppi. Fu una decisione molto sofferta, che mi ha lasciato ferite profonde. Mi sentivo sporca e vivevo i rapporti con gli uomini con un forte senso di inferiorità e di disagio. Piuttosto che elemosinare amore, a un certo punto ho preferito stare da sola. Con le amiche non c’erano problemi. Così come in ufficio: ero impiegata in una piccola ditta metalmeccanica, con un clima familiare, e la moglie del mio capo lavorava in un laboratorio di analisi. Io spiegai subito come stavano le cose, e venni sostenuta da tutti. Siccome ero “una portatrice sana” (definizione terribile) non ho assunto alcuna terapia per cinque anni. Poi feci sei mesi di interferone, con tutte le conseguenze del caso, depressione compresa. Cominciai a frequentare il forum di EpaC e stavo in chat anche alle tre di notte, perché, come altri in terapia, non riuscivo a dormire. Lì trovavo persone che “parlavano la mia lingua”, pronte ad ascoltarmi. Ho continuato a partecipare anche dopo la guarigione e ho cominciato il volontariato proprio come moderatrice del forum. Finché non ho conosciuto Massimiliano e da Torino mi sono trasferita a Roma, per lavorare a tempo pieno nell’associazione. Figli? Non ci penso più, ma è stato a lungo un tarlo. A 38 anni, prima di conoscere Massimo, sono anche andata a Barcellona, in un centro per la fertilità. Sono cresciuta pensando che l’amore genera amore, ma quando mi hanno dato una scheda da compilare in cui dovevo indicare il colore degli occhi e dei capelli che preferivo, non me la sono sentita. Ho preferito lavorare su me stessa, e dedicarmi alle tante, troppe persone che stanno passando quello che ho passato io».