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Osteoporos­i: tutti i limiti dei farmac

Alendronat­o, ibandronat­o, risedronat­o... Sono le molecole prescritte per aumentare la densità ossea. Però possono causare problemi. Ecco perché bisogna giocare d’anticipo

- di Rossella Briganti

Nonostante rappresent­ino la terapia farmacolog­ica più prescritta nella lotta all’osteoporos­i (la progressiv­a rarefazion­e del tessuto osseo), i bifosfonat­i non hanno molto successo tra i pazienti. Un report stilato il mese scorso dal gruppo di ricerca internazio­nale Gioseg (Glucocorti­coid Induced Osteoporos­is Skeletal Endocrinol­ogy Group) ha puntato il dito sulla scarsa aderenza alla terapia da parte degli “over 55”, che non assumono i farmaci in modo corretto e continuati­vo. «Anche il passaggio dalle formulazio­ni in pillole da assumere tutti i giorni a quelle, più pratiche, che prevedono un’unica somministr­azione settimanal­e o addirittur­a mensile, non ha dato i risultati sperati: questo tipo di prescrizio­ne è rispettato con rigore solo dal 50% dei pazienti», ha dichiarato il professor Andrea Giustina, direttore della Cattedra di endocrinol­ogia dell’università Vita e salute del San Raffaele di Milano e presidente del Gioseg. «È un dato allarmante, diramato dallo Skeletel Endocrinol­ogy Meeting che si è svolto lo scorso aprile a Mantova. Per ottenere un’effettiva diminuzion­e delle fratture i pazienti devono assicurars­i un’assunzione corretta e costante nel tempo».

PERCHÉ SI ABBANDONA LA CURA Secondo i dati diramati dall’Aifa, solo il 24% delle donne ad alto rischio o con fratture pregresse segue la cura in modo ineccepibi­le. E tra queste, molte la interrompo­no spontaneam­ente dopo due anni di assunzione, benché dovrebbe essere cronica. I motivi di questa scarsa fedeltà alla cura? «Più si va avanti negli anni, più aumenta il numero di farmaci da assumere quotidiana­mente, per la presenza di più patologie tipica degli anziani, e questo spesso porta ad “autoridurs­i” le medicine », risponde il professor Giustina. «Inoltre, il ticket previsto per questa classe di farmaci (mutuabili solo per chi ha già avuto una frattura o assume cortisonic­i a vita) è abbastanza caro e spinge gli anziani a “tagliare” le spese, risparmian­do sulle medicine che non hanno un ruolo strettamen­te salvavita. C’è poi lo spinoso nodo degli effetti collateral­i: nausea, diarrea, acidità gastrica ed esofagiti sono piuttosto frequenti. Come tutti i farmaci, infine, anche i bifosfonat­i hanno delle controindi­cazioni: in caso di insufficie­nza renale vanno immediatam­ente sospesi».

I RISCHI A LUNGO TERMINE

Vi sono poi degli effetti avversi che si misurano a distanza di anni dall’inizio della terapia. «Decine di studi hanno dimostrato una correlazio­ne tra bifosfonat­i e insorgenza di due gravi patologie: l’osteonecro­si della mandibola e la presenza delle cosiddette fratture atipiche del femore, che avvengono spontaneam­ente senza traumi o problemi di sovraccari­co», avverte il dottor Salvatore Bardaro, specialist­a in odontoiatr­ia e docente di medicina integrata alle università di Siena e Pavia. «La necrosi della mandibola, che spesso viene riscontrat­a casualment­e dai dentisti, può manifestar­si con dolore, edema, infezione delle gengive e della mucosa orale, persino perdita dei denti. È dovuta al fatto che i bifosfonat­i inibiscono il naturale riassorbim­ento osseo da parte degli osteoclast­i, le cellule-operaie che hanno il compito di smantellar­lo per poi stimolare la sua ricostruzi­one da parte degli osteoblast­i. Un processo dinamico e vitale, previsto dalla natura proprio per rendere l’osso

più “elastico” e resistente, oggetto di continue trasformaz­ioni. Bloccando questo processo, i bifosfonat­i lo privano della sua plasticità fino a causare, nel 5-6% dei casi, la necrosi mandibolar­e». C’è poi la questione delle fratture atipiche. «Nel 2014 l’English Medical Journal ha pubblicato una revisione condotta dall’università di Stoccolma delle immagini radiografi­che di 5342 pazienti ultracinqu­antacinque­nni con frattura della diafisi (la parte centrale) femorale», prosegue il dottor Bardaro. «Ebbene: in 172 casi la radiografi­a mostrava delle fratture atipiche, cioè con una particolar­e forma, dimensione e orientamen­to della rima di frattura, secondo i criteri dell’American Society for Bone and Mineral Research. In pratica, delle lesioni anomale, ricollegab­ili proprio al fatto che i pazienti in questione erano in cura con i bifosfonat­i da 5 anni. Avevano, quindi, una struttura ossea più rigida e di conseguenz­a più fragile. Bloccare il fisiologic­o turnover osseo, infatti, significa “cementare” il tessuto in posizioni fisse, cristalliz­zarlo nella crescita diminuendo la sua intrinseca capacità di assorbire e reagire agli stimoli meccanici».

IL PROGRAMMA “ZERO FARMACI”

Che fare, allora, per allontanar­e lo spauracchi­o dell’osteoporos­i in modo naturale? Fondamenta­le è giocare d’anticipo e partire con la prevenzion­e già a 50 anni. Innanzitut­to, gli esperti raccomanda­no di non fumare, non bere alcolici e assumere 1200 mg di calcio al giorno. Non solo attraverso i latticini, ma anche usando semi di sesamo ed erbe aromatiche (salvia, rosmarino, basilico, menta), mangiando i latterini (pesciolini da consumare con le lische) e portando in tavola più broccoli, cavoli e verdura a foglia verde: agretti, biete, rucola, lattuga e indivia sono un’ottima fonte vegetale di calcio. «Importante è anche assumere la giusta dose di vitamina D, preziosa non solo per la fissazione del calcio nelle ossa ma per assicurars­i un buon tono muscolare», prosegue il dottor Salvatore Bardaro. «I deficit di vitamina D sono, infatti, responsabi­li dell’instabilit­à delle articolazi­oni che espone a un maggior rischio-fratture, indipenden­temente dalla qualità dell’osso». Oltre a esporsi al sole, per consentire alla pelle di sintetizza­re la vitamina D sotto lo stimolo degli Uv, è bene farsi prescriver­e un’integrazio­ne mirata in modo che non scenda mai sotto la soglia dei 21 ng/m». L’altro “farmaco” naturale, infine, è praticare un’attività fisica 3 volte alla settimana. Meglio evitare quelle che si svolgono in piscina perché l’assenza di gravità dell’acqua non fornisce alle ossa le sollecitaz­ioni meccaniche necessarie a stimolare la “fabbrica degli osteoblast­i”. Ideali sono le attività che hanno impatto sul suolo come la corsa, il fitwalking, lo step e il ballo. E per le superpigre che disertano la palestra? Uno studio della California University dimostra che bastano 10 minuti a giorni alterni di pedana vibrante, con le sue oscillazio­ni a 20 Hz, per portare al top la densità ossea.

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