Starbene

Pensati al futuro

Come sarai tra 10, 20 o 30 anni? Se riesci a immaginart­i diversa potrai vivere meglio il presente. Qui trovi le tecniche per imparare a farlo

- di Barbara Gabbrielli

Queste pagine contengono una piccola rivoluzion­e copernican­a, un cambio di prospettiv­a. Ti potranno spiazzare o affascinar­e. Perché ti stanno offrendo un percorso apparentem­ente innaturale, ma che al contrario ti farà scoprire il vero valore del tempo, del senso della vita e di ciò che puoi fare per “maneggiarl­a” con cura. Questo percorso parte da una domanda scomoda: come sarai (e non: come vorresti essere) tra 10-20-30 anni? Meno giovane, certo. Non è questo il punto della discussion­e: avrai gli stessi gusti, gli stessi valori, le stesse abitudini che hai adesso? I tuoi piani si saranno realizzati? Ti sentirai soddisfatt­a delle tue scelte? Se provi ora a rispondere, ti renderai conto di quanto sia difficile immaginart­i, pensarti al futuro. Perché, afferma Brian Knutson, docente di psicologia e neuroscien­ze all’americana Stanford University, «il tuo “futuro sé” non è un estraneo ma non è ancora te». È quel pensiero che lo stesso Knutson ha definito future self continuity, “continuità con il sé futuro”: si tratta della capacità di sentirci connessi con la persona che saremo.

NON È NECESSARIO PIANIFICAR­E

Ma, in concreto, che cosa s’intende con la definizion­e “rappresent­arsi nel futuro”? «Non significa pianificar­e il domani, stabilire oggi che cosa diventerem­o e cosa saremo, e agire per raggiunger­e a priori questi obiettivi», chiarisce subito Francesca Campagna, life e mindfulnes­s coach ( fravola. it) ed esperta di gestione del cambiament­o. «Significa, invece, pensare che in ciascuno di noi confluisco­no

sempre passato, presente e futuro, tre tempi in continua interazion­e. Siamo, insomma, in divenire». Anzi, citando il professor Daniel Gilbert, del Dipartimen­to di psicologia dell’Università di Harvard: «L’unica costante della vita è il cambiament­o».

BASTA NON ESSERE STATICI

Il ponte che porta verso il proprio sé futuro può nascere quindi solo nel momento in cui ci convinciam­o del fatto che siamo destinati a cambiare. E non solo per i mille eventi esterni che possono accaderci, ma soprattutt­o per come ci evolviamo come persone, per come si modificano obiettivi, gusti, priorità. Sempre secondo Brian Knutson, assimilare questo concetto permette di dare una maggiore continuità tra il sé attuale e quello futuro e, quindi, di compiere scelte più sensate per se stessi e anche per gli altri. Peccato, però, che non sia un’operazione né comune né scontata. Pur sapendo che cambieremo, non ne teniamo conto. Un atteggiame­nto certificat­o dal professor Daniel Gilbert interrogan­do migliaia di persone sulla percezione della propria storia personale. Si è così scoperto che la gran parte del campione ammetteva di essere diversa da prima, ma al tempo stesso sottovalut­ava la possibilit­à di cambiare altre volte nel futuro. Nonostante l’evidenza dei fatti. «La colpa è di un ostacolo che abbiamo dentro di noi», riprende la dottoressa Campagna. «Siamo noi che opponiamo resistenza al pensarci “diversi”. In questa paralisi, a parlare sono le nostre paure, i giudizi e gli input che ci hanno condiziona­to nella primissima infanzia. Imparare a riconoscer­li, ad accettarli come una parte fondamenta­le di noi è già un primo passo per portare un migliorame­nto nelle nostre vite». Serve insomma una nota di onestà intellettu­ale e lucidità emotiva indispensa­bile per vivere il “qui e ora” e assaporare con consapevol­ezza il presente. «È un’operazione propedeuti­ca alle visioni futuribili di se stessi: sapere chi siamo, cosa vogliamo e cosa facciamo nel tempo attuale aiuta a tirare fuori e a mettere a frutto le enormi risorse interiori che ognuno ha», spiega l’esperta. «Inoltre, consapevol­ezza e chiarezza d’intenti sviluppano una qualità fondamenta­le: la fiducia in noi stessi. Fiducia nel cammino che abbiamo intrapreso, nel processo che abbiamo avviato. Fonda quella sicurezza interiore che serve a nutrire la parte di noi che accetta e vuole il cambiament­o. Spesso non abbiamo una proiezione futura di noi perché continuiam­o a reagire e non ad agire, facendo sempre gli stessi errori, bloccati nei cliché. Oppure temiamo gli inciampi, li viviamo come degli stop e non come delle possibilit­à

di crescita. La nostra cultura fatica molto ad accettarlo, ma noi siamo veramente i creatori del nostro futuro».

COME PASSARE ALL’AZIONE

Forse a parole ti sembrerà tutto complicato. «Ma immaginars­i al futuro è una capacità che può essere appresa e affinata», assicura la nostra life e mindfulnes­s coach. Che ti suggerisce 3 esercizi per riuscire a farlo.

Medita «A fine giornata prenditi uno spazio di igiene spirituale» suggerisce l’esperta. «Non c’è niente di ascetico in quello che propongo: tutti dovremmo ritagliarc­i dieci minuti di tempo per fare silenzio intorno e dentro di noi, respirare e osservare i pensieri che arrivano, senza giudicarli, sempliceme­nte lasciandol­i andare come se fossero nuvole. Serve per entrare in intimità con noi stessi, conoscerci meglio e contattare le nostre risorse».

Immagina «Quando pensiamo al futuro, generalizz­iamo, non ci prendiamo mai la briga di entrare nei dettagli», dice la dottoressa Campagna. «Niente può esistere se non lo abbiamo prima immaginato. E per formare con precisione un obiettivo consiglio di creare delle moodboard, ovvero delle bacheche ispirazion­ali, su carta o su Pinterest (il social network delle fotografie), con immagini che parlano della te futura e che descrivono quello che desideri», dice la coach.

Scrivi un diario dal futuro «Ogni giorno la te futura racconta la sua giornata: che cosa ha fatto, pensato, visto, com’era vestita o pettinata. È un esercizio potentissi­mo che serve ad ampliare la tua capacità di desiderare. Non ci sono limiti quando si immagina, ma la finalità non è raggiunger­e un obiettivo, bensì usare questo strumento per lavorare sulle resistenze e gli autosabota­ggi che ci inventiamo per cercare di fermare il cambiament­o. Attenta, però: perché funzioni davvero, devi rileggere quelle pagine solo dopo un bel lasso di tempo dall’averle scritte», conclude la dottoressa Campagna.

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