Pensati al futuro
Come sarai tra 10, 20 o 30 anni? Se riesci a immaginarti diversa potrai vivere meglio il presente. Qui trovi le tecniche per imparare a farlo
Queste pagine contengono una piccola rivoluzione copernicana, un cambio di prospettiva. Ti potranno spiazzare o affascinare. Perché ti stanno offrendo un percorso apparentemente innaturale, ma che al contrario ti farà scoprire il vero valore del tempo, del senso della vita e di ciò che puoi fare per “maneggiarla” con cura. Questo percorso parte da una domanda scomoda: come sarai (e non: come vorresti essere) tra 10-20-30 anni? Meno giovane, certo. Non è questo il punto della discussione: avrai gli stessi gusti, gli stessi valori, le stesse abitudini che hai adesso? I tuoi piani si saranno realizzati? Ti sentirai soddisfatta delle tue scelte? Se provi ora a rispondere, ti renderai conto di quanto sia difficile immaginarti, pensarti al futuro. Perché, afferma Brian Knutson, docente di psicologia e neuroscienze all’americana Stanford University, «il tuo “futuro sé” non è un estraneo ma non è ancora te». È quel pensiero che lo stesso Knutson ha definito future self continuity, “continuità con il sé futuro”: si tratta della capacità di sentirci connessi con la persona che saremo.
NON È NECESSARIO PIANIFICARE
Ma, in concreto, che cosa s’intende con la definizione “rappresentarsi nel futuro”? «Non significa pianificare il domani, stabilire oggi che cosa diventeremo e cosa saremo, e agire per raggiungere a priori questi obiettivi», chiarisce subito Francesca Campagna, life e mindfulness coach ( fravola. it) ed esperta di gestione del cambiamento. «Significa, invece, pensare che in ciascuno di noi confluiscono
sempre passato, presente e futuro, tre tempi in continua interazione. Siamo, insomma, in divenire». Anzi, citando il professor Daniel Gilbert, del Dipartimento di psicologia dell’Università di Harvard: «L’unica costante della vita è il cambiamento».
BASTA NON ESSERE STATICI
Il ponte che porta verso il proprio sé futuro può nascere quindi solo nel momento in cui ci convinciamo del fatto che siamo destinati a cambiare. E non solo per i mille eventi esterni che possono accaderci, ma soprattutto per come ci evolviamo come persone, per come si modificano obiettivi, gusti, priorità. Sempre secondo Brian Knutson, assimilare questo concetto permette di dare una maggiore continuità tra il sé attuale e quello futuro e, quindi, di compiere scelte più sensate per se stessi e anche per gli altri. Peccato, però, che non sia un’operazione né comune né scontata. Pur sapendo che cambieremo, non ne teniamo conto. Un atteggiamento certificato dal professor Daniel Gilbert interrogando migliaia di persone sulla percezione della propria storia personale. Si è così scoperto che la gran parte del campione ammetteva di essere diversa da prima, ma al tempo stesso sottovalutava la possibilità di cambiare altre volte nel futuro. Nonostante l’evidenza dei fatti. «La colpa è di un ostacolo che abbiamo dentro di noi», riprende la dottoressa Campagna. «Siamo noi che opponiamo resistenza al pensarci “diversi”. In questa paralisi, a parlare sono le nostre paure, i giudizi e gli input che ci hanno condizionato nella primissima infanzia. Imparare a riconoscerli, ad accettarli come una parte fondamentale di noi è già un primo passo per portare un miglioramento nelle nostre vite». Serve insomma una nota di onestà intellettuale e lucidità emotiva indispensabile per vivere il “qui e ora” e assaporare con consapevolezza il presente. «È un’operazione propedeutica alle visioni futuribili di se stessi: sapere chi siamo, cosa vogliamo e cosa facciamo nel tempo attuale aiuta a tirare fuori e a mettere a frutto le enormi risorse interiori che ognuno ha», spiega l’esperta. «Inoltre, consapevolezza e chiarezza d’intenti sviluppano una qualità fondamentale: la fiducia in noi stessi. Fiducia nel cammino che abbiamo intrapreso, nel processo che abbiamo avviato. Fonda quella sicurezza interiore che serve a nutrire la parte di noi che accetta e vuole il cambiamento. Spesso non abbiamo una proiezione futura di noi perché continuiamo a reagire e non ad agire, facendo sempre gli stessi errori, bloccati nei cliché. Oppure temiamo gli inciampi, li viviamo come degli stop e non come delle possibilità
di crescita. La nostra cultura fatica molto ad accettarlo, ma noi siamo veramente i creatori del nostro futuro».
COME PASSARE ALL’AZIONE
Forse a parole ti sembrerà tutto complicato. «Ma immaginarsi al futuro è una capacità che può essere appresa e affinata», assicura la nostra life e mindfulness coach. Che ti suggerisce 3 esercizi per riuscire a farlo.
Medita «A fine giornata prenditi uno spazio di igiene spirituale» suggerisce l’esperta. «Non c’è niente di ascetico in quello che propongo: tutti dovremmo ritagliarci dieci minuti di tempo per fare silenzio intorno e dentro di noi, respirare e osservare i pensieri che arrivano, senza giudicarli, semplicemente lasciandoli andare come se fossero nuvole. Serve per entrare in intimità con noi stessi, conoscerci meglio e contattare le nostre risorse».
Immagina «Quando pensiamo al futuro, generalizziamo, non ci prendiamo mai la briga di entrare nei dettagli», dice la dottoressa Campagna. «Niente può esistere se non lo abbiamo prima immaginato. E per formare con precisione un obiettivo consiglio di creare delle moodboard, ovvero delle bacheche ispirazionali, su carta o su Pinterest (il social network delle fotografie), con immagini che parlano della te futura e che descrivono quello che desideri», dice la coach.
Scrivi un diario dal futuro «Ogni giorno la te futura racconta la sua giornata: che cosa ha fatto, pensato, visto, com’era vestita o pettinata. È un esercizio potentissimo che serve ad ampliare la tua capacità di desiderare. Non ci sono limiti quando si immagina, ma la finalità non è raggiungere un obiettivo, bensì usare questo strumento per lavorare sulle resistenze e gli autosabotaggi che ci inventiamo per cercare di fermare il cambiamento. Attenta, però: perché funzioni davvero, devi rileggere quelle pagine solo dopo un bel lasso di tempo dall’averle scritte», conclude la dottoressa Campagna.