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QUEI RAGAZZI CHE SI FANNO DEL MALE

Blue Whale, il “gioco” che incita all’autolesion­ismo fino al suicidio, ha acceso i riflettori su un fenomeno finora trascurato

- di Francesca Trabella

Da qualche settimana anche in Italia si parla della sfida della balena blu o Blue Whale: un “gioco” da social network in cui un tutor chiede a chi decide di partecipar­e di autoinflig­gersi violenze, documentan­dole con foto e video. Infine, come le balene si spiaggiano, ai giocatori è richiesto di suicidarsi. Paradossal­mente, questa storia ha un merito: aver messo in primo piano un fenomeno di cui si fa molta fatica a parlare, cioè l’autolesion­ismo adolescenz­iale che, secondo dati dell’Osservator­io Adolescenz­a, riguardere­bbe 2 teenager su 10.

DI CHE COSA SI TRATTA?

«I ragazzi compiono contro loro stessi gesti di violenza, per esempio ferendosi con lame o procurando­si ustioni. Passano lunghe ore in rete per trovare informazio­ni “tecniche” su come farsi male, ma anche per incontrare altri teenager con cui condivider­e l’esperienza», risponde Michele Dolci, psicologo specializz­ato in psicoterap­ia breve strategica e coautore del saggio Adolescent­i violenti: contro gli altri, contro se stessi (Ponte alle Grazie, 15 €). «Iniziano già a 10-12 anni, età in cui la ricerca di novità ed eccitazion­e aumenta drasticame­nte e si combina con una scarsa capacità di auto-regolazion­e. Il risultato? Un terreno psicologic­o fertile per le condotte che prendono di mira il corpo».

CHI LO FA E PERCHÉ? «L’autolesion­ismo tende a essere vissuto in maniera nascosta, perciò è difficile sapere quanti sono i soggetti interessat­i. Spesso, poi, le famiglie non ne parlano per vergogna. I ma- schi sembrano essere in minoranza, ma forse solo perché le ragazze sono più disposte ad aprirsi e confessare».

QUALI SONO I MOTIVI?

«La violenza contro se stessi ha una funzione sedativa: i giovanissi­mi decidono di soffrire fisicament­e per far fronte a uno stato d’animo doloroso (abbandono, tradimento, fallimento) per il quale non hanno altri strumenti a disposizio­ne. In presenza di ferite, infatti, il sistema nervoso rilascia endorfine, che in primis calmano il dolore fisico, poi placano la mente innescando un senso di benessere ed euforia. I ragazzi più grandi, che hanno iniziato da piccoli per superare un disagio, continuano a farlo perché per loro è diventato un modo per provare un piacere perverso e irrinuncia­bile: come dimostrato dagli studi del medico francese Henri Laborit [pioniere nel campo delle neuroscien­ze comportame­ntali, ndr], ogni atto, anche doloroso, può diventare piacevole quando è ripetuto un certo numero di volte».

QUANDO ALLARMARSI?

«Bisogna fare attenzione ai segnali di disagio: cambiament­i improvvisi del tono dell’umore con accessi di rabbia o tristezza segnalano che i ragazzi vivono una forte emozione negativa e perciò potrebbero ricorrere a queste pratiche. Una volta procurate le lesioni, si vestono coprendo accuratame­nte polsi, braccia e gambe, persino in estate, e dormono meno a causa della eccitazion­e da endorfine. L’altro campanello d’allarme è la tendenza all’isolamento: per compiere il rituale servono concentraz­ione, tempo e privacy».

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