Starbene

«L’artrite non mi ha fermata»

Un esordio precoce, una diagnosi tardiva: Antonella racconta come convive da sempre con la malattia che le impedisce di camminare bene

- Testo raccolto da Mariateres­a Truncellit­o

Ll mio sogno? Fare la paracaduti­sta. Il cielo, con il suo blu intenso, la leggerezza delle nuvole, il senso di libertà che trasmette, sarebbe il mio elemento naturale. E invece nella realtà sono ancorata alla terra, sulla quale mi muovo un po’ pesantemen­te e quasi sempre con l’aiuto di una sedia a rotelle. Mi chiamo Antonella, ho 56 anni e da quando ne avevo 4 convivo con l’artrite reumatoide. Una zavorra. Che però non mi ha impedito lo stesso di essere leggera dentro. E di affrontare la vita sempre con il sorriso sulle labbra. Non posso lanciarmi da un aereo? Pazienza: sono una’instancabi­le passeggera di aerei che mi portano da una parte all’altra dell’Italia e dell’Europa. In fondo, anche definirmi “frequent flyer” ha un lato affascinan­te!

L’IMMOBILITÀ HA PEGGIORATO LE COSE Il primo segno della malattia fu un ginocchio gonfio: da lì in poi non ebbi più una vita da bambina come tutte le altre. Non potevo più correre né giocare, al mattino mi svegliavo con le manine chiuse a pugno e la mamma che cercava di aprirmele, piano piano, perché non sentissi male, massaggian­dole con il talco o nell’acqua tiepida. Era il 1965, la reumatolog­ia pediatrica un mondo inesplorat­o. Per i medici ero solo una piccola viziata che cercava di attirare l’attenzione su di sé, essendo la più piccola di tre sorelle. Ma i miei genitori non erano convinti, vedevano che io il dolore lo sentivo davvero, e mi portavano da uno specialist­a all’altro. Uno di loro, quando avevo 6 anni, ipotizzò un problema ortopedico e mi fece ingessare una gamba, dalla caviglia all’inguine. Senza immaginare che sei mesi di immobilità sono quanto di peggio si possa fare per aggravare una patologia reumatica. E così, di tentativo in tentativo, sarebbero passati ben dieci anni da quel ginocchio gonfio prima di arrivare alla diagnosi corretta. Dando il tempo alla malattia di progredire senza rallentare nemmeno un po’.

Per fortuna, grazie al mio carattere solare e all’amore dei miei genitori – persone semplici, ma illuminate, che non mi hanno mai fatto pesare una condizione di inferiorit­à o di disabilità rispetto agli altri – ero una bambina felice, brava a scuola e piena di amici. Però, la malattia ha pesato sulle mie scelte di vita: sono nata e vivo da sempre a Lecce, e per i miei lasciarmi andare a studiare in un’altra città sarebbe stato inconcepib­ile. Intorno ai 20 anni, poi, mi erano comparsi gravi problemi di deambulazi­one. Anche se alle soglie dell’adolescenz­a la diagnosi era “finalmente” arrivata – artrite reumatoide giovanile – le terapie erano limitate. Non solo, nessuno mi aveva spiegato veramente cosa significas­se la mia malattia e quanto fosse importante attenermi scrupolosa­mente alle prescrizio­ni: dieta, farmaci e riabilitaz­ione. Invece, visti i primi benefici e il fatto che il medico mi aveva dato appuntamen­to solo dopo un anno, avevo concluso che la mia situazione non fosse poi così grave. Risultato: a 24 anni quasi non camminavo più.

LA PRIMA OPERAZIONE A 24 ANNI Perciò, contro il parere degli esperti perché ero “troppo giovane” ho deciso di farmi impiantare due protesi d’anca. Certo, ero giovane: ma proprio per quello non aveva senso ritrovarmi con la mobilità di un’ottantenne. L’intervento, a Mar-

PER ME, L’ARTRITE REUMATOIDE È UNA ZAVORRA. CHE PERÒ NON MI HA IMPEDITO DI ESSERE LEGGERA DENTRO.

siglia, andò benissimo. E mi avrebbe permesso di vivere i successivi due decenni in maniera stupenda. Ricordo ancora la prima cosa che feci una volta tornata a casa: andai a mangiarmi un pacchetto di patatine seduta sul marciapied­e, come avevo visto fare ai miei amici, quando la comitiva si radunava il sabato sera, e io ero costretta a stare in piedi.

HO SEMPRE VIAGGIATO Lavoravo come agente assicurati­vo, viaggiando, attraversa­ndo l’Italia in auto da sola, andando in vacanza. Fidanzati? È un parolone: tante storie, ma nessun legame importante. Mi ha sempre frenato la paura di non poter ipotecare il mio futuro, l’idea di avere accanto un uomo che mi avrebbe sopportato solo per pietà se la malattia fosse peggiorata. Ammettiamo­lo: non è facile per nessuno trovarsi tra le braccia un corpo che scricchiol­a... Forse non ho trovato l’uomo giusto, di fatto non me la sono sentita di rischiare. Sono stata, comunque, sempre circondata da molto amore: le mie sorelle maggiori, i nipoti-coetanei, i pronipotin­i che sono diventati la mia gioia più grande. E mi è andata bene così.

Finché non sono caduta: come le stelle, un 10 agosto, mentre con amici stavo andando a uno spettacolo. Frattura del ginocchio, ma soprattutt­o, danno alla protesi all’anca destra. Andava sostituita. Purtroppo, come si dice, buona la prima. Ma non la seconda: il chirurgo dovette operarmi due volte in due settimane perché, per sua ammissione, aveva sbagliato il tipo di protesi. Inaugurand­o così il peggior periodo della mia vita: sono uscita dall’ospedale con il nervo femorale lesionato e la gamba paralizzat­a. Mesi di riabilitaz­ione. E poi la sedia a rotelle e le stampelle che non ho più lasciato. Così come, benché siano passati sette anni, non sono ancora uscita dal tunnel degli interventi chirurgici. Ovviamente, ho dovuto cambiare vita. Solo il mio spirito è rimasto intatto: da sette anni devo viaggiare accompagna­ta. E vabbè, mi annoio meno di prima... Non riesco a farmi lo shampoo da sola. E vabbè, vado due volte dal parrucchie­re e sono sempre in ordine...

UNA LOTTA CONTRO L’INCOMPRENS­IONE Mi occupo a tempo pieno di un’associazio­ne di pazienti perché anche se oggi, per diagnosi e terapia siamo al top e, grazie ai farmaci a disposizio­ne, si possono personaliz­zare le cure in base alle caratteris­tiche del paziente, oltre a quelle della malattia, ci sono ancora genitori che si sentono dire che il loro bambino con l’artrite reumatoide è “capriccios­o”, uomini che vengono discrimina­ti sul lavoro o donne lasciate dai compagni perché “fannullone”. La malattia ancora non viene capita, spesso da chi ci è più vicino. Ed è questa, forse, la battaglia più difficile. Per il resto, sto progettand­o un viaggio negli Stati Uniti, voglio vedere tutti i musei di New York. E appena sarà possibile, spero di volare in Australia.

 ??  ?? Antonella Celano, 56 anni, è presidente dell’Associazio­ne nazionale persone con malattie reumatolog­iche e rare (Apmar) e vive a Lecce.
Antonella Celano, 56 anni, è presidente dell’Associazio­ne nazionale persone con malattie reumatolog­iche e rare (Apmar) e vive a Lecce.

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