Aiuto, com’è liquida questa vita!
Incalzati da continue (e rivoluzionarie) esigenze personali e professionali, siamo costretti a reiventarci anche a 50 anni. Come non annegare nell’onda del cambiamento
Una fotografia della realtà di oggi? Tutto sembra essere in perenne movimento. Cambiamo lavoro, obiettivi, casa e città. Cambiamo amici e amori e, se ci sposiamo, spesso, non è più per sempre. Nell’arco di un’esistenza, possiamo mutare anche fede religiosa, stile di vita e così via. Oggi le nostre vite sono diventate, come riassume la definizione del filosofo Zygmut Bauman, sempre più “liquide”, non racchiudibili in una forma fissa. Se, prima, a 40 anni, un individuo poteva dire di aver raggiunto una solidità destinata a proseguire senza scossoni né grosse trasformazioni, oggi dobbiamo tutti tenerci pronti a continui cambiamenti in ogni fase dell’esistenza, anche dopo i 60 anni. A volte per scelta, altre meno. «La velocità del nostro tempo è speculare a quella cui ci hanno abituati le nuove tecnologie digitali», commenta Riccardo Zerbetto, psichiatra, psicoterapeuta e direttore del Centro studi terapia Gestalt. «Dal loro avvento, si sono via via trasformati il mondo del lavoro e i mercati, l’economia e, complice la difficile situazione economica, sono saltate anche le certezze che, in generale, costituivano le pietre miliari di un percorso di vita: prima lo studio, poi il lavoro, infine la famiglia e la casa. Insomma: siamo nel pieno di un salto evolutivo che richiede uno sforzo: elaborare nuovi modelli di comportamento. “Cambiamento”, com’è nell’esperienza di tutti, è diventata la parola-chiave che domina il nostro tempo, con un vantaggio indiscutibile sul piano della ricchezza e della varietà delle esperienze, ma anche con un’accelerazione ansiogena che non si è mai vista prima nella storia del genere umano». UNA SOCIETÀ LIBERA MA COMPETITIVA Il primo prezzo che abbiamo dovuto pagare per muoverci liberamente e in modo veloce? Siamo diventati più individualisti. «Il paradosso è che nel momento in cui le nostre relazioni hanno superato i ristretti ambiti territoriali e si sono allargati gli orizzonti di ciascuno (non più la città ma, addirittu-
ra, il globo intero) abbiamo smesso di sentirci appartenenti a una comunità», commenta il sociologo Davide Bennato. «Basti pensare a come i nostri amici, ormai, non siano più solo quelli con cui siamo cresciuti, le persone del quartiere, i compagni di scuola. Complici i social network, ci muoviamo in ambiti infinitamente più ampi che, però, hanno un peso diverso da quelli reali e, soprattutto, sono mutevoli, molto meno definiti. Può succedere, per esempio, che sentiamo di appartenere alla vasta e multiforme comunità degli ecologisti o dei vegani, ma con gli altri condividiamo i macro-valori e, allo stesso tempo, manteniamo i nostri personalissimi (instabili) distinguo». Un individualismo che, inoltre, è sempre più diffuso sul lavoro, frutto della maggiore competizione che ci mette tutti alla prova dal punto di vista psicologico. «Quando le risorse sono limitate, l’agonismo è la conseguenza naturale», spiega Maurizio Speciale, psicologo e psicoterapeuta cognitivista-comportamentale. «Oggi ciascuno si sente in lotta con gli altri. È una reazione fisiologica nei momenti di crisi, eppure, così, ci autosabotiamo perché, quando si attiva il sistema agonistico il cervello lavora male: opera solo per la sopraffazione dell’altro. Al contrario, è nel sistema collaborativo che la nostra mente dà il meglio di sé, riesce a essere più creativa e produttiva. Quindi, (come hanno compreso i più giovani), è vincente chi riesce a fare rete, a creare efficaci team di lavoro».
SCHIACCIATI DALLA PAURA DELL’IGNOTO
L’altra faccia del cambiamento include anche un ulteriore contraccolpo, questa volta di tipo personale. «I cambiamenti non sono per tutti, ci sono persone che, specie in alcune fasi della loro vita, ne sono spaventate», dice Luca Mazzucchelli, psicologo e ideatore di un metodo di terapia breve per favorire il cambiamento e la crescita personale (psicologo-milano. it). «Il paradosso è che abbandonare il noto per l’ignoto fa paura al punto tale che si preferisce sentirsi a disagio, mettendo a rischio le proprie relazioni anche amorose e il futuro professionale, piuttosto che cambiare. In questi casi, l’aiuto di uno specialista, uno sguardo esterno e professionale, è decisivo per uscire dall’impasse e prendere in mano la propria vita». «Anche perché, in questa situazione d’incertezza e disorientamento, è
facile soffrire di tutta una serie di disturbi, dall’ansia alla depressione fino alle malattie psicosomatiche come dermatiti, ulcere e così via», continua Maurizio Speciale. «Mi viene in mente, per esempio, chi si trova costretto a 50 anni, a reinventarsi un lavoro o una famiglia: rischia di sprofondare nella cosiddetta “ansia anticipatoria”, prefigurando un futuro catastrofico che lo porterà alla depressione. Diverso il caso dei giovanissimi, che hanno tante difficoltà sul piano delle opportunità di lavoro, ma sono abituati ai rapidi cambiamenti e, dal punto di vista cognitivo e da quello relazionale-sociale, hanno molte marce in più rispetto ai loro genitori».
LE ISTRUZIONI PER L’USO
«La psicologia ci insegna quanto è importante per un bambino avere punti di riferimento certi. Crescendo, prevalgono il desiderio di esplorazione, conoscenza e nuovi stimoli», continua il dottor Zerbetto, «ma quest’ultimo non può esserci in assenza di quelle prime, preziose fondamenta». Anche per un adulto, la spinta al cambiamento deve poggiare su basi sicure. Se non si consolidano alcuni rapporti significativi, rischiamo, letteralmente, di naufragare in questa società liquida». Insomma, l’evoluzione personale è il frutto di un compromesso tra stabilità e cambiamento, tra stanzialità e nomadismo. Ecco i consigli per metterlo in pratica.
«Per compiere delle scelte dobbiamo lasciarci guidare dal livello del nostro benessere», aggiunge Speciale. «Ossia, ascoltare il più possibile le nostre emozioni, per decidere se andare verso A o verso B. Questo si traduce in una riattivazione di endorfine, i neurotrasmettitori del piacere, che ricaricano il cervello rendendolo in grado di affrontare al meglio le sfide contemporanee».
Occorre poi valorizzare le relazioni con gli altri, quelle reali e non virtuali: trovare occasioni per vedere gli amici, passare tempo con i parenti, spendere qualche minuto in più per parlare con il vicino di scrivania. «Anche questi sono momenti rigeneranti per sé e utili per non correre il rischio, molto diffuso oggi, di isolarsi e perdere la capacità di fare gruppo», commenta Speciale.
«Ciascuno, per ritrovare se stesso tra un cambiamento e l’altro, deve poi cercare di attivare alcune precise competenze», spiega Andrea Laudadio, psicologo cognitivista e docente di psicologia positiva all’Università Europea di Roma. «La prima consiste nel coltivare l’ autoinformazione, cioè mettere a fuoco di cosa si ha bisogno per muoversi meglio e più rapidamente nel lavoro e favorire la crescita personale».
Ultima carta vincente? Saper essere transdisciplinari. «Mescolare i saperi, ampliare le proprie conoscenze, coltivare la propria formazione anche in territori mai esplorati prima è la chiave della flessibilità intelligente, creativa e proficua», conclude il dottor Laudadio. «Chi si ferma a una sola area di interesse, oggi più che mai, perde l’occasione di comprendere il suo tempo e gli altri. E, quindi, di cogliere le opportunità migliori per sé».
PER MUOVERCI PIÙ VELOCI E LIBERI SIAMO DIVENTATI INDIVIDUALISTI.