«IL DIABETE NON MI HA FERMATO»
Claudio fa il pilota di rally. Un sogno che ha realizzato con tenacia e coraggio. Ma anche grazie ai dispositivi hi-tech che tengono sotto controllo la sua malattia
La passione mi ha fatto superare ogni limite, ma la tecnologia mi ha cambiato la vita. Per rendere più chiare queste affermazioni dovrei cominciare a raccontare la mia storia partendo da lontano. Però è troppo fresca l’emozione che ho provato a fine agosto, per non iniziare da lì, dal Rally del Friuli Venezia Giulia che ho corso a Cividale. È la manifestazione automobilistica più importante della Regione, giunta ormai alla 53° edizione, e io mi sono piazzato davvero bene. Con la mia Peugeot 106 sono arrivato 32° in assoluto e 2° nella mia categoria. Un bel risultato, per il quale mi ero a preparato a lungo. Perché io non sono un pilota come tutti gli altri. Sono un rallista diabetico. Quanta fatica ho fatto ad accettare questa realtà. E quanta forza di volontà ho dovuto tirare fuori per riuscire a raggiungere i miei obiettivi. Ma per fortuna sulla mia strada ho incontrato degli alleati importanti.
MI SONO AMMALATO A SETTE ANNI
La passione per i motori è nata insieme a me, 33 anni fa. Mi piaceva tutto: macchinine, automobiline di ogni genere, i go-kart elettrici. E poi adoravo andare a vedere i rally con i miei genitori, e seguire la Parigi-Dakar alla televisione. Ma a sette anni mi è stato diagnosticato il diabete di tipo 1, una patologia che colpisce soprattutto bambini e ragazzi. Così ho iniziato una terapia che prevedeva piccole dosi di insulina con gli strumenti disponibili all’epoca: siringhe e grandi glucometri per i prelievi del sangue. La mia vita, inutile dirlo, ha preso improvvisamente un’altra piega. Le iniezioni di insulina erano complesse da gestire, invasive, condizionavano le mie giornate e il mio umore. Perché il diabete è una malattia che ti fa apparire strano agli occhi degli altri, soprattutto quando sei piccolo. Vai a spiegare agli altri bambini che non puoi fare tutto quello che fanno loro, che devi stare attento a quello che mangi e che per non stare male devi farti una puntura. Insomma, ero diventato quello “strano” agli occhi dei miei coetanei e questo mi faceva soffrire.
Da adolescente, poi, le cose sono diventate ancora più pesanti. Volevo avere una vita normale e soprattutto volevo praticare l’automobilismo, l’unico sport che veramente amavo. I medici continuavano a bloccarmi, ritenevano che questo sport fosse assolutamente incompatibile con il diabete. Mi avevano dato l’ok per il calcio, la corsa, ma il mio cuore batteva per le auto. Era veramente demoralizzante vedere che nessuno di quei dottori capiva la mia grande passione.
A SEDICI ANNI SONO SCESO IN PISTA Continuavo a fare attività sportiva con tutti gli ostacoli che la patologia mi metteva davanti, come la necessità di fermarmi, anche durante un allenamento, per fare gli esami e per assumere insulina, senza contare poi i rischi a cui andavo incontro se non avessi tenuto sotto controllo la glicemia.
Poi un giorno, finalmente, incontro un medico dello sport con una visione diversa. Mi dice che tutto dipende da me,
che se ho un buon controllo del mio stato fisico e una buona consapevolezza delle mie condizioni posso fare tutto, anche correre in auto. Così, nel 2000, all’età di 16 anni, ottengo l’idoneità alla pratica dello sport del karting agonistico. Una grande soddisfazione. Nel frattempo, poi, le innovazioni in campo medico avevano per fortuna migliorato la terapia insulinica.
“INDOSSO” UNA TERAPIA SU MISURA Le vittorie che conquisto nelle gare mi fanno capire che ho scelto la strada giusta, che posso superare i miei limiti e migliorarmi. Ma sono consapevole che la mia malattia esiste e che devo gestirla nel migliore dei modi se voglio continuare a gareggiare. Nel 2003, una dottoressa che ancora adesso è la mia diabetologa, mi propone la terapia con il microinfusore. Naturalmente accetto. Così passo dal dover fare singole iniezioni a un dispositivo elettronico che mi fornisce la quantità giusta di insulina. Lo porto come se fosse un telefonino ed è collegato alla mia pelle attraverso un piccolo ago. Mentre su un altro apparecchio, una sorta di telecomando, vengono registrati tutti i parametri, dall’attività fisica che svolgo al livello di glicemia. Così la mia terapia insulinica è più mirata, corro meno rischi e soprattutto posso condurre una vita normale.
Questo mi dà la spinta per fare il passo successivo: nel 2004 approdo al mondo dell’automobilismo con il debutto, come navigatore, nel Rally delle Alpi Orientali Historic. Arrivo 13° in assoluto e 2° nella mia categoria. L’anno successivo, il pilota sono io. Di successi agonistici ormai ne ho ottenuti parecchi. Ma un’altra vittoria nei confronti del diabete l’ho potuta mettere a segno quando ho iniziato a utilizzare i sensori della glicemia: servono a misurare la quantità di glucosio che ho nel sangue e sostituiscono il vecchio metodo che prevedeva pungersi il dito. È un piccolo dispositivo che viene impiantato sottopelle e che ogni otto minuti fornisce il dato. Attraverso una app sul telefonino controllo i valori e anche la mia diabetologa può vedere i risultati.
ORA RINCORRO UN NUOVO TRAGUARDO Preparare una gara non è banale. Mi occorrono almeno sei mesi, durante i quali lavoro a stretto contatto con la mia diabetologa e con la mia copilota: corriamo insieme da una vita e ci basta uno sguardo per capire la mossa giusta da fare quando siamo in pista.
Nel periodo che precede la competizione mi alleno molto e ho un’alimentazione programmata. La mia diabetologa fa calcoli accurati, in modo da prevedere l’andamento della glicemia nel corso della giornata e impostare la terapia. Insomma, posso dire di essere riuscito ad abbattere le barriere della malattia. Mi rimane ancora un sogno: nel 2018 vorrei correre nell’Intercontinental Rally, una competizione fuoristrada tra Spagna, Marocco, Mauritania e Senegal di oltre 3000 chilometri».
«HO UN SENSORE IMPIANTATO SOTTOPELLE CHE OGNI OTTO MINUTI MISURA I VALORI DELLA MIA GLICEMIA».