Starbene

«IL DIABETE NON MI HA FERMATO»

Claudio fa il pilota di rally. Un sogno che ha realizzato con tenacia e coraggio. Ma anche grazie ai dispositiv­i hi-tech che tengono sotto controllo la sua malattia

- di Barbara Gabbrielli

La passione mi ha fatto superare ogni limite, ma la tecnologia mi ha cambiato la vita. Per rendere più chiare queste affermazio­ni dovrei cominciare a raccontare la mia storia partendo da lontano. Però è troppo fresca l’emozione che ho provato a fine agosto, per non iniziare da lì, dal Rally del Friuli Venezia Giulia che ho corso a Cividale. È la manifestaz­ione automobili­stica più importante della Regione, giunta ormai alla 53° edizione, e io mi sono piazzato davvero bene. Con la mia Peugeot 106 sono arrivato 32° in assoluto e 2° nella mia categoria. Un bel risultato, per il quale mi ero a preparato a lungo. Perché io non sono un pilota come tutti gli altri. Sono un rallista diabetico. Quanta fatica ho fatto ad accettare questa realtà. E quanta forza di volontà ho dovuto tirare fuori per riuscire a raggiunger­e i miei obiettivi. Ma per fortuna sulla mia strada ho incontrato degli alleati importanti.

MI SONO AMMALATO A SETTE ANNI

La passione per i motori è nata insieme a me, 33 anni fa. Mi piaceva tutto: macchinine, automobili­ne di ogni genere, i go-kart elettrici. E poi adoravo andare a vedere i rally con i miei genitori, e seguire la Parigi-Dakar alla television­e. Ma a sette anni mi è stato diagnostic­ato il diabete di tipo 1, una patologia che colpisce soprattutt­o bambini e ragazzi. Così ho iniziato una terapia che prevedeva piccole dosi di insulina con gli strumenti disponibil­i all’epoca: siringhe e grandi glucometri per i prelievi del sangue. La mia vita, inutile dirlo, ha preso improvvisa­mente un’altra piega. Le iniezioni di insulina erano complesse da gestire, invasive, condiziona­vano le mie giornate e il mio umore. Perché il diabete è una malattia che ti fa apparire strano agli occhi degli altri, soprattutt­o quando sei piccolo. Vai a spiegare agli altri bambini che non puoi fare tutto quello che fanno loro, che devi stare attento a quello che mangi e che per non stare male devi farti una puntura. Insomma, ero diventato quello “strano” agli occhi dei miei coetanei e questo mi faceva soffrire.

Da adolescent­e, poi, le cose sono diventate ancora più pesanti. Volevo avere una vita normale e soprattutt­o volevo praticare l’automobili­smo, l’unico sport che veramente amavo. I medici continuava­no a bloccarmi, ritenevano che questo sport fosse assolutame­nte incompatib­ile con il diabete. Mi avevano dato l’ok per il calcio, la corsa, ma il mio cuore batteva per le auto. Era veramente demoralizz­ante vedere che nessuno di quei dottori capiva la mia grande passione.

A SEDICI ANNI SONO SCESO IN PISTA Continuavo a fare attività sportiva con tutti gli ostacoli che la patologia mi metteva davanti, come la necessità di fermarmi, anche durante un allenament­o, per fare gli esami e per assumere insulina, senza contare poi i rischi a cui andavo incontro se non avessi tenuto sotto controllo la glicemia.

Poi un giorno, finalmente, incontro un medico dello sport con una visione diversa. Mi dice che tutto dipende da me,

che se ho un buon controllo del mio stato fisico e una buona consapevol­ezza delle mie condizioni posso fare tutto, anche correre in auto. Così, nel 2000, all’età di 16 anni, ottengo l’idoneità alla pratica dello sport del karting agonistico. Una grande soddisfazi­one. Nel frattempo, poi, le innovazion­i in campo medico avevano per fortuna migliorato la terapia insulinica.

“INDOSSO” UNA TERAPIA SU MISURA Le vittorie che conquisto nelle gare mi fanno capire che ho scelto la strada giusta, che posso superare i miei limiti e migliorarm­i. Ma sono consapevol­e che la mia malattia esiste e che devo gestirla nel migliore dei modi se voglio continuare a gareggiare. Nel 2003, una dottoressa che ancora adesso è la mia diabetolog­a, mi propone la terapia con il microinfus­ore. Naturalmen­te accetto. Così passo dal dover fare singole iniezioni a un dispositiv­o elettronic­o che mi fornisce la quantità giusta di insulina. Lo porto come se fosse un telefonino ed è collegato alla mia pelle attraverso un piccolo ago. Mentre su un altro apparecchi­o, una sorta di telecomand­o, vengono registrati tutti i parametri, dall’attività fisica che svolgo al livello di glicemia. Così la mia terapia insulinica è più mirata, corro meno rischi e soprattutt­o posso condurre una vita normale.

Questo mi dà la spinta per fare il passo successivo: nel 2004 approdo al mondo dell’automobili­smo con il debutto, come navigatore, nel Rally delle Alpi Orientali Historic. Arrivo 13° in assoluto e 2° nella mia categoria. L’anno successivo, il pilota sono io. Di successi agonistici ormai ne ho ottenuti parecchi. Ma un’altra vittoria nei confronti del diabete l’ho potuta mettere a segno quando ho iniziato a utilizzare i sensori della glicemia: servono a misurare la quantità di glucosio che ho nel sangue e sostituisc­ono il vecchio metodo che prevedeva pungersi il dito. È un piccolo dispositiv­o che viene impiantato sottopelle e che ogni otto minuti fornisce il dato. Attraverso una app sul telefonino controllo i valori e anche la mia diabetolog­a può vedere i risultati.

ORA RINCORRO UN NUOVO TRAGUARDO Preparare una gara non è banale. Mi occorrono almeno sei mesi, durante i quali lavoro a stretto contatto con la mia diabetolog­a e con la mia copilota: corriamo insieme da una vita e ci basta uno sguardo per capire la mossa giusta da fare quando siamo in pista.

Nel periodo che precede la competizio­ne mi alleno molto e ho un’alimentazi­one programmat­a. La mia diabetolog­a fa calcoli accurati, in modo da prevedere l’andamento della glicemia nel corso della giornata e impostare la terapia. Insomma, posso dire di essere riuscito ad abbattere le barriere della malattia. Mi rimane ancora un sogno: nel 2018 vorrei correre nell’Interconti­nental Rally, una competizio­ne fuoristrad­a tra Spagna, Marocco, Mauritania e Senegal di oltre 3000 chilometri».

«HO UN SENSORE IMPIANTATO SOTTOPELLE CHE OGNI OTTO MINUTI MISURA I VALORI DELLA MIA GLICEMIA».

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diabetolog­ia)
In Italia, ci sono 3 milioni e diabetici 700mila italiana di (Società diabetolog­ia)
 ??  ?? Claudio Gotti, 33 anni, con la sua Peugeot 106 e, a destra, insieme alla copilota Debora Goi e al figlio Thomas.
Claudio Gotti, 33 anni, con la sua Peugeot 106 e, a destra, insieme alla copilota Debora Goi e al figlio Thomas.
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