LE CAREZZE CHE NUTRONO L’ANIMA Due esercizi
Sono quei gesti e quelle parole che dicono all’altro: «Tu esisti per me». Nessuno può farne a meno
Una carezza? Non è solo un tocco fisico delle mani. È qualsiasi gesto o parola che comporta il riconoscimento dell’esistenza dell’altro e che ha una valenza affettiva, anche minima. Come un saluto, un complimento, un dono. Ma anche ascoltare qualcuno con attenzione. Lo psicoterapeuta Giacomo Magrograssi ha scritto il saggio Le carezze come nutrimento (Baldini &Castoldi, 15 €) in cui approfondisce il pensiero della scuola di analisi transazionale: ricevere (e dare) carezze è indispensabile come mangiare. Perché sono segnali che la nostra identità viene riconosciuta dagli altri, quindi sono necessari per crescere e raggiungere il benessere psicofisico. Per capire meglio il valore delle carezze per la formazione individuale (e relativa sicurezza) Starbene ha intervistato Daria Beda, psicoterapeuta e analista transazionale.
SONO TUTTE UGUALI?
«Ci sono quelle incondizionate (o gratuite) e quelle condizionate. Le prime le riceviamo solo perché esistiamo, senza che facciamo nulla per meritarle. Fondamentali per i bambini, rimangono preziose per tutta la vita. Le seconde sono legate a qualità,
capacità, comportamenti. Vengono veicolate da frasi come “Sei stato molto comprensivo”, oltre che da pacche sulle spalle, strette di mano, sguardi di ammirazione, e diventano importanti dai 18 mesi in su. Possono essere usate come premio o incentivo: chi le riceve è portato a perseverare in ciò che gli ha permesso di ottenerle. Detto questo, il libero scambio di riconoscimenti è una capacità, una propensione e un diritto umano. Ma le carezze scarseggiano, anche tra chi si ama o si stimano».
PERCHÉ NE SIAMO AVARI?
«La “dieta” di carezze inizia da piccoli, quando i genitori non coccolano troppo i figli per non viziarli. Poi gli insegnanti distribuiscono lodi con il contagocce per spronare gli alunni a fare di più. Prosegue tra amici e sul lavoro, quando i riconoscimenti vengono concessi secondo dinamiche di do ut des, ovvero: “Mi complimento perché spero che tu faccia altrettanto con me”. Insomma, veniamo indotti a essere avari di noi stessi: siamo abituati a credere che le carezze elargite gratis creino obblighi e aspettative; che quelle ottenute su richiesta non siano spontanee; che non convenga darle a noi stessi, perché “chi si loda si imbroda”. Tutte falsità. Il bello delle carezze è che sono illimitate. E imparare a essere più generosi sarebbe un bene per tutti. Bisogna accordarsi il permesso di chiederle e di offrirle. E pure di darle a se stessi, perché le “auto-carezze” hanno lo stesso valore di quelle ricevute da altri».
QUALCHE CONSIGLIO SU COME FARLE E RICEVERLE «La carezza deve essere calibrata sul destinatario: i neonati hanno bisogno di quelle fisiche, agli adulti bastano riconoscimenti simbolici. Solo che, per imbarazzo o vergogna, spesso carezziamo “alla cieca” o, meglio, secondo ciò che vorremmo per noi. Per esempio, una donna carezza fisicamente il marito perché desidera che lui la tocchi, lui la carezza a parole, perché vuole sentirsi dire quanto è amato. Questo scambio implicito può creare equivoci. Ma basterebbe parlarsi per ricalibrarlo e renderlo soddisfacente per entrambi! Per ricevere carezze riflettiamo sui riconoscimenti che ci piace dare: sono quelli che a noi mancano, potremmo provare a chiederli alle persone più vicine».