Starbene

Storie «In piscina sono rinato»

A 14 anni Salvatore si è ritrovato senza una gamba. Non si è perso d’animo ed è diventato un campione di nuoto. E in acqua combatte per un mondo senza barriere

- di Carla Diamanti

Cominciò tutto all’età di 14 anni, dopo un incidente durante una partita di basket. Il fastidio che sentivo alla gamba non passava e per scrupolo mio padre volle farmi fare una radiografi­a. L’incidente di gioco era stata una circostanz­a fortunata, tutto sommato. La diagnosi molto meno: osteosarco­ma, cioè un cancro che consuma silenziosa­mente le ossa e che si manifesta quando è già troppo tardi. Secondo i medici mi rimanevano sei mesi di vita, non c’era niente da fare anche perché avevo delle metastasi al bacino. I miei genitori non vollero arrendersi e mi portarono all’ospedale Rizzoli di Bologna dove insistette­ro con il primario finché non decise di amputarmi la gamba. Dopo l’intervento cominciai la chemiotera­pia. Il primo anno un ciclo ogni venti giorni, quello seguente uno ogni due mesi e il terzo ogni sei. Una terapia durissima. Ogni volta che tornavo a Bologna per ricomincia­re le cure, all’altezza di Sasso Marconi cominciavo a vomitare perché mi sembrava di avvertire l’odore dell’ospedale. Ma intanto, la battaglia contro la prognosi che mi dava sei mesi di vita l’avevo vinta io.

Un anno e due mesi dopo l’intervento, quando la ferita al moncone si era rimarginat­a, dovetti confrontar­mi con la protesi. Subito la rifiutai, poi dovetti accettarla e piano piano, dopo la riabilitaz­ione e gli esercizi per imparare a camminare, capii che in fondo mi lasciava le mani libere e la possibilit­à di muovermi più facilmente. Fino ai 30 anni ho proseguito i controlli per il tumore con screening periodici, poi ho potuto smettere tutto.

IL SOGNO DI UNA VITA NORMALE

I primi anni sono stati durissimi. Camminare, correre, ballare (e non solo) erano tutte cose che mi sarebbero state negate per sempre. La menomazion­e mi costringev­a a una condizione di isolamento. Mi sentivo un fantasma senza voce, senza dimensione. Relegato a una vita che non mi appartenev­a e da cui non riuscivo a uscire. Avevo bisogno di aiuto e nessuno, tranne le persone più care che mi stavano accanto, pareva rendersene conto. Mi sembrava che la mia disabilità venisse scambiata per una malattia cronica e senza speranze mentre invece io ero vivo. Soprattutt­o ero arrabbiato: la tecnologia avanzava a passi da giganti, ma ancora non aveva salvato il destino di noi disabili. Volevo camminare, uscire, muovermi meglio, e invece non trovavo una soluzione in grado di aiutarmi.

UN PONTE VERSO IL MONDO DEGLI ABILI Il caso mi ha portato a nascere una seconda volta una sera di novembre del 2005, in una piscina della periferia romana. Un amico medico mi aveva suggerito di provare la terapia dell’acqua per lenire i dolori alla colonna vertebrale, dovuti alla deambulazi­one sbagliata e alla postura scomposta. Per la prima volta scoprii di poter nuotare, anche con una gamba sola. Ricordo ancora la sensazione fortissima del mio corpo in acqua. Ero a mio agio e non sentivo più i dolori che invece mi affliggeva­no fuori. Non volevo più uscire. Seguendo la linea bianca sul fondo cominciai a immaginare di trasformar­la in una specie di ponte verso il mondo “abile” per dimostrare che non ero malato. Mi allenai senza riserve e otto mesi dopo attraversa­vo a nuoto i 25 km fra Capri e Sorrento. Era il mio primo traghetto vero verso la nuova vita, quella in cui mi sarei battuto per chiedere di impiegare impegno, risorse e progresso per ridurre le disabilità.

A BRACCIATE IN GIRO PER IL MONDO Invece che in piazza, sono sceso in acqua e dare vita a una specie di manifestaz­ione a colpi di bracciate. Per protestare contro le barriere architetto­niche ho realizzato il giro d’Italia a nuoto: dieci tappe di 15 km da Genova a Trieste. Poi, da atleta del Circolo Canottieri Aniene di Roma, è stata la volta del giro d’Europa. Ho attraversa­to lo Stretto di Messina, quelli di Gibilterra e di Oresund e ho battuto il record italiano di traversata della Manica: 9 ore e 50 minuti. Nel 2010 da Israele sono partito per il giro del mondo, un progetto possibile grazie alla raccolta fondi (buonacausa. org/cause/a-nuoto-nei-mari-del-globo) e premiato da una medaglia della Presidenza della Repubblica. Nuoto fra i vari continenti per sensibiliz­zare l’opinione pubblica sul problema disabilità, oltre che per incoraggia­re le istituzion­i a inserire nei loro programmi di assistenza ai disabili le tecnologie messe a punto nei vari laboratori di ricerca. Se invece di restare a livello di ricerca, le innovazion­i si applicasse­ro davvero ai mezzi di trasporto, alle costruzion­i di edifici e alle protesi, la disabilità potrebbe non costituire più un limite per viaggiare, avere una casa, una famiglia, sognare. Io quel limite l’ho superato, vorrei che ci riuscisser­o tutti gli altri disabili. Dopo Canada, Australia, Nuova Zelanda, Stati uniti, Messico, la prossima tappa sarà il Giappone dove sono sicuro che troverò la stessa accoglienz­a calorosa e la stessa solidariet­à che mi salutano ovunque io arrivi. Mi sono stati conferiti premi e riconoscim­enti. Ma ciò che mi rende più felice è sapere che la mia opera contribuis­ce a promuovere uguaglianz­a, inclusione e partecipaz­ione delle persone con disabilità nella società.

MI RENDEVO CONTO CHE LA MIA DISABILITÀ VENIVA SCAMBIATA PER UNA MALATTIA CRONICA E SENZA SPERANZE MENTRE INVECE IO ERO VIVO.

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Salvatore Cimmino, 53 anni: in 9 ore e 50 minuti ha attraversa­to il canale della Manica.
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