Generazione impegnata
Nel 2006 un maledetto tumore si è portato via mio zio. Ho ancora davanti agli occhi i suoi ultimi giorni di vita, la sua sofferenza e il nostro dolore. In quel periodo, poi, mi guardavo in giro e mi sembrava di trovarmi in mezzo a una specie di terribile epidemia perché a provare la stessa esperienza erano miei amici, compagni di università, vicini di casa: tanti dovevano dire addio a un loro caro malato di cancro. Allora ho capito che le lacrime, il silenzio e il tormento per la perdita affettiva non mi avrebbero portato da nessuna parte. Anzi, mi avrebbero consumato e tolto la mia proverbiale grinta. Meglio trasformare la rabbia in qualcosa di costruttivo. All’epoca facevo già volontariato ma era un impegno sporadico, avevo bisogno di ingranare la quarta. Così ho chiamato l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (airc.it), che mi ha proposto di creare un gruppo di volontari proprio a Monterotondo, il paese alle porte di Roma in cui vivo. Sono oltre 7 milioni gli italiani che dedicano parte del loro tempo ad aiutare gli altri. A dirlo è il rapporto Istat, che fotografa le nuove Quel giorno, era il 2007, è partita la mia avventura, ho iniziato il mio cammino su questa strada. Sì, uso questa parola perché lo considero proprio un percorso, che ha una meta ben precisa e mi sta facendo crescere. Lo scopo? Essere incisivo nella realtà, sostenere davvero gli scienziati che studiano test diagnostici e terapie innovative: lavoro in farmacia e incontro ogni giorno i malati, conosco molto bene quello che provano. UNA PROVA DI AUTOSTIMA
A livello personale, invece, sono diventato uomo anche grazie a questa esperienza. L’ho iniziata a 24 anni e mi ha aiutato a combattere i dubbi e i tentennamenti di quell’età. Quando organizzo i vari appuntamenti, dalle Arance della salute all’Azalea della ricerca fino ai cioccolatini, devo avere le idee chiare, occuparmi degli aspetti pratici, coordinare gli altri volontari. Così ho imparato a essere deciso e veloce,