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AIUTO! SONO DISLESSICO

Un disturbo che fino a una certa età è passato inosservat­o può pesare molto in età adulta. Ma si può rimediare

- di Adriana Amedei

Secondo i dati dell’Aid (Associazio­ne italiana dislessia), in Italia gli studenti dislessici diagnostic­ati sono circa 350 mila. E tra gli adulti, quanti non sanno di esserlo? Ne abbiamo discusso con la dottoressa Laura Paganelli, psicologa e psicoterap­euta a Milano (laurapagan­elli.it).

Come è possibile arrivare all’età adulta senza sapere di essere dislessici?

«Solo da qualche anno si parla di dislessia, anche se il disturbo è stato diagnostic­ato la prima volta alla fine dell’800, e solo nel 2004 è stata emessa una circolare nazionale che invitava gli insegnanti a tenere conto della diagnosi di dislessia. Nella scuola ora il personale è informato sull’argomento, ma solo fino a qualche anno fa non era così. Di solito, poi, molti individui con Dsa (disturbi specifici dell’apprendime­nto) trovano strategie per compensare le loro difficoltà. Se il disturbo è lieve, magari non emerge fino alle superiori o all’università, quando il carico di lavoro diventa più elevato e la lentezza si rivela un vero ostacolo».

Quali sono i segnali d’allarme?

«Esiste, anche online, una check list standardiz­zata per consentire un’autovaluta­zione preliminar­e degli adulti che sospettano di essere dislessici. Comprende domande come: ha difficoltà a distinguer­e la destra dalla sinistra? Ha difficoltà a consultare le mappe o a leggere ad alta voce? Trova difficile cogliere e ricordare il senso di quello che legge, ha difficoltà nell’ortografia, la sua calligrafi­a è difficile da decifrare? Il punteggio che si ottiene una volta completato il questionar­io è solo indicativo della probabilit­à che si ha di essere dislessici. Il test in italiano è disponibil­e gratuitame­nte all’indirizzo npsy.it/ADCL.html».

Quali ricadute psicologic­he può avere un Dsa negli adulti?

«Molti studi dimostrano che i disturbi del tono dell’umore e d’ansia sono più frequenti nelle persone con Dsa. I ripetuti fallimenti in ambito scolastico provocano una vera e propria ferita che non si rimargina nemmeno con gli anni. I soggetti con Dsa spesso hanno ridotte aspettativ­e di successo e meno perseveran­za, un senso di impotenza e di inadeguate­zza. Il Dsa può essere un trauma. Gli adulti spesso lo vivono come una vergogna perché hanno un’autostima deficitari­a che si ripercuote anche sugli obiettivi che si pongono».

Ha senso cercare una diagnosi da adulti?

«Assolutame­nte sì: la diagnosi ha un valore terapeutic­o perché migliora la qualità della vita di chi si è sempre sentito inadeguato. Dando un nome e un

IL PROBLEMA NON DIPENDE DA UNA DISABILITÀ SENSORIALE, E IL QI È NELLA NORMA.

motivo alle sue difficoltà il soggetto smette di sentirsi stupido, e conoscendo­ne la natura scopre delle strategie per vivere meglio nel quotidiano. La diagnosi giustifica certe mancanze. Poi la certificaz­ione ha vantaggi di tipo pratico anche in ambito extrascola­stico: per esempio, quando si affronta l’esame di teoria per la patente si possono avere le cuffie per “ascoltare” le domande, che sulla carta possono confondere».

A chi ci si deve rivolgere per una diagnosi? Quali esami si devono affrontare?

«Si può andare in una struttura pubblica, al centro di neuropsico­logia. Nel privato, in Lombardia esistono équipe accreditat­e dalla Regione. I test sono una valutazion­e neuropsich­iatrica che escluda altre patologie, una valutazion­e del Qi con il neuropsico­logo e poi lettura, scrittura e calcolo con il logopedist­a».

Esistono strategie utili sul lavoro e nella vita quotidiana?

«Molto dipende dal soggetto e dalla sua attività. Per tutti, in generale, è utile avere dei vademecum che descrivano certe operazioni. Ho un paziente, per esempio, che lavora in magazzino e deve evadere ordini. Lui ha un file con tutte le procedure divise in brevi step. Questo lo aiuta a non “perdere il filo”. Altri ausili: per leggere evitando l’effetto crowding (cioè il senso di affollamen­to sulla pagina che non consente al dislessico di concentrar­si sulla parola) si può usare un segnalibro con finestrell­a che isoli un’unica riga. Gli audiolibri sono indicati per chi ha difficoltà nell’associare il segno grafico al suono. Per memorizzar­e un testo servono le mappe concettual­i: danno una visione spaziale per chi ha una ridotta memoria verbale e a breve termine. Per le presentazi­oni, anche sul lavoro, aiutano tecniche mnemoniche come quella dei loci (da Cicerone), che si basa sulla memoria visuospazi­ale. Ogni argomento viene collegato a un luogo noto. Si immagina di fare un viaggio toccando tutti questi luoghi, e mano a mano si affrontano gli argomenti collegati a ogni tappa. Infine c’è la Smartpen, che registra l’audio mentre si prendono appunti su fogli appositi. Dopo, basta puntarla su una parola per riascoltar­e ciò che è stato detto a quel proposito».

Lo Stato fa qualcosa per gli adulti?

«C’è una proposta di legge del 22/3/2017 per modificare la legge 170 del 2010. Prevede l’estensione degli strumenti compensati­vi (software specifici, pc con correttore, strumenti di sintesi vocale ecc.) anche nella valutazion­e extrascola­stica e l’introduzio­ne del responsabi­le dell’inseriment­o lavorativo per le persone con Dsa».

Un dislessico avrà figli dislessici?

«La componente genetica influenza l’abilità di lettura indipenden­temente dal livello cognitivo generale. Ma non c’è nessuna certezza: si parla di familiarit­à. Non è mai stata dimostrata, finora, la trasmissio­ne genetica diretta».

LA DIAGNOSI IN ETÀ ADULTA HA UN VALORE TERAPEUTIC­O PERCHÉ GIUSTIFICA FINALMENTE CERTE MANCANZE.

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