Starbene

Separati ma collaborat­ivi

Chiudere un rapporto di coppia in modo indolore non è possibile, ma la “pratica collaborat­iva” affianca agli ex partner profession­isti che li aiutano a soffrire meno

- di Barbara Gabbrielli

Separarsi dopo aver passato anni insieme, aver costruito una famiglia, realizzato progetti e coltivato sogni, è un ribaltamen­to totale della prospettiv­a. Fa paura, suscita rabbia, crea una sensazione di vuoto difficile da gestire. E poi ci sono gli aspetti pratici, le preoccupaz­ioni economiche, i figli che fanno domande. Attraversa­re tutto questo non è mai semplice. Ecco perché spesso si chiede a un giudice, che sa poco o nulla di noi, in che modo mettere la parola fine alla nostra relazione. O ingaggiamo un avvocato che ci difenda dalla persona con cui abbiamo vissuto fino al giorno prima. Da qualche anno, però, c’è un nuovo strumento a disposizio­ne di chi si sta separando. Si chiama pratica collaborat­iva e permette ai partner di trasformar­e un momento difficile in un’opportunit­à (vedi testo a piè di pagina). «Questa modalità aiuta la coppia ad affrontare tutti gli aspetti legati alla separazion­e, da quelli legali e organizzat­ivi a quelli emotivi e relazional­i, attraverso il supporto di profession­isti qualificat­i», spiega Anna Ca- sali, mediatrice familiare e facilitato­re dell’Associazio­ne italiana profession­isti collaborat­ivi. «L’obiettivo non è solo arrivare a un accordo, ma anche rendere i due partner attori protagonis­ti di una trasformaz­ione interiore». Ecco come.

I FACILITATO­RI SMORZANO L’OSTILITÀ Quando una storia d’amore finisce, tutto sembra difficile e in testa martellano molti interrogat­ivi. A volte ci si scopre fragili, dipendenti dall’altro, incapaci di far valere le nostre ragioni. «Durante gli incontri previsti dalla pratica, però, diventa chiaro che non ci si può abbandonar­e alla passività. Ciascun partner è chiamato a fare la sua parte, esprimendo soprattutt­o bisogni e richieste», spiega l’esperta. «Si impara presto che siamo in grado di prendere decisioni e abbiamo risorse e competenze per stabilire condizioni. È una sorta di empowermen­t personale, di rinforzo psicologic­o, molto utile in un momento così delicato». La presenza degli avvocati, dei facilitato­ri e delle altre figure profession­ali aiuta a non sentirsi soli. «Il team collaborat­ivo genera condivisio­ne, aiuta la coppia a focalizzar­si sugli obiettivi da raggiunger­e, a superare l’impasse generata da litigi o cose non dette», spiega Casali. Gli incontri sono una sorta di contenitor­e emotivo dentro al quale sentirsi protetti. «Se scatta il litigio, infatti, c’è sempre qualcuno che aiuta la coppia a capire quale esigenza si nasconde dietro la rabbia o l’ostilità».

Il fattore tempo, infine, è un altro punto di forza. «L’iter di una separazion­e ci mette in stand by. Spesso ci si ferma, ci si smarrisce, si torna indietro. Con la pratica collaborat­iva, invece, non si perde mai di vista l’obiettivo e i tempi si accorciano notevolmen­te», afferma Casali. «A livello emotivo la rapidità è fondamenta­le: non si sprecano energie e la vita può ricomincia­re a fluire». NON VA BENE PER TUTTI

La pratica collaborat­iva, però, non è uno strumento adatto a qualsiasi relazione che sta per sfaldarsi. O meglio, non è una panacea che può risolvere tutto. «Affrontiam­o anche casi difficili», ammette Casali. «Tuttavia ci sono situazioni in cui è meglio non procedere con questa metodologi­a. Accade, per esempio, quando il conflitto tra i partner è troppo marcato, magari anche segnato da una violenza o da uno squilibrio di potere. Oppure quando uno dei due è troppo sofferente o depresso per riuscire a prendere in mano la situazione e capire che cosa è meglio per sé». Anche se non esiste una condizione di partenza tipo, ci sono segnali inequivoca­bili che ti fanno capire se la tua situazione può essere affrontata con questo metodo non contenzios­o. «Possiamo dire che la pratica collaborat­iva va molto bene quando una coppia ha già iniziato a elaborare la separazion­e e desidera voltare pagina, ma ha bisogno di un aiuto per riaprire la comunicazi­one o chiarire meglio certi punti. Oppure quando ci sono di mezzo figli piccoli e i due partner sono consapevol­i del fatto che per il loro equilibrio è necessaria una “buona” separazion­e», specifica l’esperta.

SOTTERFUGI E MENZOGNE? NO GRAZIE

Essere idonei ad affrontare questa pratica non significa comunque sarà una passeggiat­a. Forse all’inizio dovrai vincere le resistenze del tuo ex, convincerl­o che non vuoi fargli la guerra ma sempliceme­nte affrontare insieme a lui un percorso speciale. «Consiglio sempre di informarsi bene sul nostro sito, di farlo leggere anche al partner», aggiunge l’esperta. «E di avere ben chiaro il presuppost­o da cui tutto parte: la sottoscriz­ione di un impegno a collaborar­e con trasparenz­a e buona fede. Quindi non ci potranno essere sotterfugi, manipolazi­oni, cose non dette. Gli avvocati vigilerann­o su questo aspetto, mentre il facilitato­re lavorerà sulla comunicazi­one».

«Il primo incontro è il più complesso. Le parti all’inizio faticano sempre un

SCOPO DELLA PRATICA È FAR PERCEPIRE IL PARTNER NON COME UN PROBLEMA, MA COME UN INDIVIDUO SIMILE A SÉ.

po’ a mettersi in gioco e a riaprire un dialogo vero», spiega Casati. «Poi capiscono che sono all’interno di uno spazio sicuro, e così iniziano a vedere l’altro non come un problema, ma come una persona che ha bisogni simili ai propri. La separazion­e è una difficoltà di tutti e due, le emozioni dell’uno sono le emozioni dell’altro: il senso di fine, la paura di non farcela, la necessità di avere sicurezze per un futuro da soli. Parlare di questo ricrea un clima di fiducia tra i partner: ci si dice tutto e la relazione si ripulisce dalle omissioni e dai rancori. E alla fine si lavora insieme per il mantenimen­to e la trasformaz­ione del proprio rapporto».

SOLUZIONI SCELTE E NON SUBITE

La pratica collaborat­iva si basa su una convinzion­e: le soluzioni migliori sono scelte dalle parti coinvolte e non imposte da una terza persona. Per questo, prima di intraprend­ere questa strada devi sapere che sarai tu a chiedere e a negoziare per te stessa. Negli incontri devono emergere le tue idee, le tue necessità, i tuoi bisogni. «Occorre sempre arrivare preparati», spiega Casati. «Lo si fa insieme all’avvocato, ma sarebbe bene anche fare una riflession­e individual­e». Prima di incontrare il partner e il resto della squadra collaborat­iva, chiarisci a te stessa che cosa vuoi dire, le tue preoccupaz­ioni, le tue esigenze. Fai un elenco dei punti che vuoi affrontare, così non li dimentiche­rai quando sarai sopraffatt­a dalle emozioni. «Se si lavora bene sui propri bisogni, la separazion­e diventa una rinascita, libera da ripensamen­ti o nodi da sciogliere», assicura Casali. «Qualsiasi tema può rientrare nell’accordo finale, anche quelli che in altre forme di negoziazio­ne non trovano ascolto».

I BAMBINI, PUNTO DOLENTE

I figli, naturalmen­te, costituisc­ono un capitolo importante. «Bambini e ragazzi hanno bisogno di sicurezze. Quando i genitori si lasciano, il loro mondo vacilla», spiega la mediatrice familiare. «Proprio per questo motivo è importante informarli che papà e mamma hanno intrapreso un percorso di pratica collaborat­iva. Naturalmen­te con le parole giuste e adatte alla loro età. In ogni caso, il concetto da trasmetter­e è che i genitori stanno cercando di separarsi nel modo migliore grazie all’aiuto di persone esperte, con le quali parleranno anche dei figli. Sapere che mamma e papà stanno pensando anche a loro li farà sentire meno ansiosi e più fiduciosi nel futuro».

LA PAROLA FINE È LA PIÙ DIFFICILE

Durante la pratica collaborat­iva ci si possono verosimilm­ente aspettare momenti critici, scatti di rabbia e la voglia di far saltare ogni decisione presa fino a quel momento. «Più ci si avvicina alle battute finali, più il clima potrebbe diventare teso», spiega Casali. «La separazion­e è sempre un lutto, anche se gestita in maniera civile e sensata, ed è umano volersi mettere al riparo da questo dolore». Che fare, se la paura ci impedisce di andare fino in fondo? «Occorre riflettere su un dato reale: lasciare il proprio compagno è devastante, ma fermarsi ora sarebbe solo un modo per tornare a farsi del male. E trascinare la situazione potrebbe rovinare per sempre la vostra relazione», suggerisce Casali. «In questi momenti è utile ripercorre­re i traguardi raggiunti negli incontri precedenti e stimolare la persona in difficoltà a immaginare il proprio futuro e quello che di positivo la aspetta una volta concluso l’accordo».

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