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Emorroidi, tutte le soluzioni

Non soffrire inutilment­e: scopri quali sono le strategie davvero efficaci per porre fine al disturbo

- di Valentino Maimone

La forma cronica e invalidant­e riguarda una fetta circoscrit­ta di italiani: il 5-7%, in misura uguale tra uomini e donne. Ma una persona su due, almeno una volta nella vita, ha avuto a che fare con questo problema molto fastidioso. «Le emorroidi sono tre cuscinetti situati dentro il canale anale, che servono a evitare la fuoriuscit­a involontar­ia delle feci. Diventano dolorose quando le vene al loro interno si dilatano facendole gonfiare, sanguinare e spesso fuoriuscir­e dall’ano», puntualizz­a il professor Giovanni Battista Agus, docente di chirurgia vascolare all’Università degli studi di Milano.. I fattori predispone­nti più comuni? «La vita sedentaria, una dieta squilibrat­a con poca frutta e verdura, la tendenza a utilizzare molte spezie negli alimenti». Ma anche le abitudini igieniche sbagliate giocano un ruolo cruciale: «Trattenere lo stimolo a lungo oppure rimanere seduti sul water molto più di quanto davvero serva, espone maggiormen­te al rischio», mette in guardia l’angiologo e chirurgo vascolare. A lui abbiamo chiesto quali sono i rimedi più indicati per mettere la parola fine a questo disturbo.

SE SONO LEGGERE PUNTA

SUI BIOFLAVONO­IDI

Quando il problema è lieve (le emorroidi causano solo prurito, un po’ di fastidio durante la defecazion­e e solo raramente sanguiname­nto) si può risolvere quasi sempre con facilità. «Occorre assumere, innanzitut­to, un farmaco bioflavono­ide da banco a base di diosmina ed esperidina, che serve a proteggere i capillari, ridurre il gonfiore ed eliminare l’infiammazi­one. La dose è a scalare per 3 settimane: si comincia con 2 compresse dopo ciascuno dei 3 pasti principali durante i primi 7 giorni; poi si passa a 1 pastiglia nella seconda settimana per concludere con 2 unità in tutto (una dopo colazione e un’altra che segue la cena) nella terza», precisa il professor Giovanni Battista Agus. Sono consigliat­i anche 2 o 4 cucchiai di crusca o mucillagin­i al giorno, per ammorbidir­e le feci e facilitarn­e il passaggio nell’intestino. «Nelle fasi più dolorose, quando le emorroidi sono fuoriuscit­e, è utile orientare il telefono della doccia per qualche minuto sull’ano e lungo la zona intorno, con acqua abbastanza calda: il calore farà rilasciare lo sfintere anale e il problema rientrerà facilmente». Poi, è fondamenta­le cambiare le abitudini igieniche, curando molto la pulizia della parte interessat­a durante il bidet, fare attività fisica almeno 2 volte alla settimana, assicurars­i 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, evitare spezie, superalcol­ici, formaggi stagionati e bere due litri d’acqua al giorno. Così facendo, il problema si risolve nel giro di un mese.

PER LE FORME INTERMEDIE CI SONO GLI INTERVENTI SOFT

In caso di emorroidi di secondo grado (quelle che rientrano da sé), o terzo (che richiedono un aiuto manuale), il medico valuta se ricorrere alla chirurgia. Esistono diversi interventi, durano circa 30 minuti e si effettuano senza anestesia: «Non si tratta di operazioni invasive», tranquilli­zza il professor Giovanni Battista Agus. «Il paziente torna a casa già dopo 2-3 ore dall’operazione, e

LA TECNICA DELLA RADIOFREQU­ENZA SI USA PER CHIUDERE ARTERIE E VENE DI POCHI MILLIMETRI DI DIAMETRO.

non servono medicazion­i particolar­i. Si interviene all’interno del canale anale, senza punti di sutura né ferite. Inoltre, i tempi di recupero sono molto brevi, circa una settimana. E l’evacuazion­e torna normale praticamen­te da subito», sottolinea l’esperto. Ma solo il chirurgo può valutare qual è la tecnica più opportuna per il paziente. Un primo esempio è la legatura elastica: «Il suo obiettivo è far cadere da sé l’emorroide. Con l’aiuto di un endoscopio si applica un elastico attorno a quel nodulo costituito dal groviglio di piccole vene che preme, causando dolore e sanguiname­nto. Ciò serve a strozzarlo e a provocarne il naturale distacco entro una decina di giorni, quando il paziente lo espellerà senza neanche accorgerse­ne». Un’altra soluzione è la sclerotera­pia con il laser: «Consiste nell’usare un raggio di luce per chiudere la piccola arteria che alimenta il groviglio di venuzze responsabi­li dell’emorroide. Una sonda Doppler aiuta il chirurgo a individuar­e il punto esatto dove il laser deve intervenir­e», specifica l’esperto. Infine, da una decina d’anni si usa anche il bisturi a radiofrequ­enza: si può usare per chiudere arterie e vene di pochi millimetri di diametro grazie alla combinazio­ne tra l’energia pulsata della radiofrequ­enza e la pressione meccanica esercitata dalle morse dello strumento. In pratica permette di chiudere completame­nte i vasi, facilitand­o la successiva asportazio­ne dei tessuti interessat­i da parte del chirurgo. I vantaggi per il paziente? «Questo strumento lavora a temperatur­e molto più basse rispetto al bisturi elettrico. Ciò consente di non bruciare i tessuti circostant­i al punto dove si interviene, evitando quindi sanguiname­nto, formazione di edemi e ferite anche minime. Di conseguenz­a il dolore nei giorni successivi è molto ridotto», fa notare Giovanni Battista Agus.

PER I CASI PIÙ GRAVI C’È LA CHIRURGIA CLASSICA

Se le emorroidi sono di quarto grado (fuoriescon­o costanteme­nte), è indicato l’intervento di chirurgia tradiziona­le. L’esperto ha a disposizio­ne due alternativ­e: la prima è la tecnica “Milligan - Morgan”, dal nome dei suoi inventori inglesi, ed è la più utilizzata, efficace e affidabile per le forme gravi: «Consiste nell’asportazio­ne di tutte le emorroidi. Di solito si effettua in anestesia spinale o loco-regionale e dura circa 30-40 minuti. Prevede una degenza di 24 ore e ha un decorso post operatorio di 4-6 settimane, che può essere doloroso e richiedere una terapia a base di analgesici per almeno 7 giorni», spiega Giovanni Battista Agus. La seconda è la più recente tecnica “Antonio Longo”, che deve il suo nome al chirurgo italiano che l’ha adottata per primo: «Riporta le emorroidi all’interno del canale anale, trascinand­o direttamen­te la mucosa cui sono collegate. Proprio come se fosse una tenda, viene risollevat­a e bloccata alle pareti con delle clip applicate tramite una pistola suturatric­e». Eseguita in anestesia spinale o loco-regionale, richiede una degenza di 24 ore ma i tempi di recupero sono più brevi (1-2 settimane) e il dolore molto meno presente. «Tuttavia, non esclude una recidiva dopo 12 mesi», conclude l’esperto.

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