Starbene

Io (non) sono il mio lavoro

Non devi fare diventare la tua profession­e né una maschera né una gabbia. Come trovare l’equilibrio

- di Francesca Trabella

Inutile negarlo: il lavoro occupa una posizione centrale nella vita. «La consapevol­ezza di assolvere una mansione socialment­e utile è un ingredient­e fondamenta­le per costruire l’idea che abbiamo di noi stessi», dice Rossella Panigatti, già dirigente e imprenditr­ice, oggi scrittrice e ricercatri­ce nel campo energetico spirituale. Nell’equilibrio dell’esistenza, spiega ancora l’autrice, svolgere una profession­e è molto più che l’esecuzione di un compito dietro remunerazi­one: è un potente indicatore di molte qualità personali e sociali. Non a caso, nel linguaggio comune la domanda “Chi sei?” si traduce spesso in “Cosa fai?” per iniziare a conoscere l’altro e capire come avviare un dialogo. Però, come tutte le cose importanti, anche (e soprattutt­o) il lavoro è fonte di grandi equivoci e inevitabil­i errori, come sottolinea­no la psicologa clinica Rossella Semplici e lo psichiatra e psicoterap­euta Quirino Quisi nel loro saggio Il lavoro tra identità personale e società (Paoline, 15 €). Sbaglia (e si stressa) chi s’identifica totalmente con la propria profession­e. Si crea una maschera, parlando di se stesso come di un ruolo vivente: “Sono una docente, un medico, un architetto”, anziché “Faccio la docente, il medico, l’architetto”. Ma sbaglia (e si stressa pure lui) anche, chi, al contrario, non trova nella sua mansione alcuna soddisfazi­one né motivo di crescita e al lavoro sembra in gabbia, ripetendo come un mantra: “Faccio la commessa, ma sono altro, moglie, sportiva, appassiona­ta di cinema”.

SE TI IDENTIFICH­I TROPPO

«Anche se tutti gli ultimi trend statistici parlano di un notevole peggiorame­nto della qualità della vita nei posti di lavoro, buttarsi anima e corpo nella propria profession­e è ancora una prospettiv­a carica di status allettanti», spiega Luigi Pugliese, psicologo del lavoro e delle risorse umane a Fasano (BR). «Sotto un certo aspetto, quasi comoda poiché il lavoro (e la posizione sociale ed economica che ne consegue) è l’elemento più immediato e riconoscib­ile delle nostre capacità, dall’intelligen­za alla motivazion­e fino alla forza di volontà e l’abilità strategica». Non a caso, il sociologo Joel M. Charon dice che l’identità è ciò che si pensa di essere e che si dimostra al mondo attraverso parole e azioni. Solo che, se il lavoro diventa l’unica aspirazion­e, la solita cartina tornasole della tua autostima, questa scelta alla lunga espone a gravi frustrazio­ni. Que-

sto percorso viene descritto bene dalla professore­ssa Elizabeth R. Thornton che ha pubblicato un libro sul tema, The Objective Leader: How to Leverage the Power of Seeing Things As They Are, dove racconta che il suo lavoro coincideva con la sua autovaluta­zione a tal punto che, quando ha iniziato a sperimenta­re i primi fallimenti, non è stata in grado di accorgersi di ciò che stava accadendo. Quando finalmente se ne è accorta, ha deciso di scrivere un libro. «Però, al di là di giornate e pensieri monotemati­ci, tutti lavoro e nient’altro, avere un senso di sé così legato alla prestazion­e (“sono quello che faccio e produco”) è come consegnare la vita a un orologio esterno, pronto a esplodere: saranno gli eventi e gli altri a controllar­ti e a decidere chi sei veramente», riprende il dottor Pugliese. «Sei qualcuno se sei baciato dal successo, sei nessuno se i riconoscim­enti non arrivano o spariscono. Il secondo rischio, poi, è che alla minima incertezza (ristruttur­azione aziendale, cambio di strategia, crisi) ci si può trovare spogliati della propria identità e privi di risorse individual­i (affetti, interessi, passioni, contatti ecc.) sui quali non si è mai investito prima. Quelle stesse energie, tra l’altro, che vengono dalla sfera privata e che ti rendono efficace quando lavori».

2

SE LO VIVI CON DISTACCO

All’altro capo dello squilibrio lavorativo c’è il distacco eccessivo: la nostra occupazion­e non ci coinvolge niente o quasi. «Insomma, viene ridotta a qualcosa che, grazie alla remunerazi­one, ti permette di concederti altre attività nelle quali trovi il senso della tua esistenza e la realizzazi­one di aspettativ­e e progetti», dicono Semplici e Quisi. «Qualunque sia la motivazion­e – l’unica opportunit­à lavorativa avuta, dissenso ideologico con quello che fai, scarso feeling con l’ambiente, mancati riconoscim­enti – il risultato è lo stesso. Alla fine, anche la tua vita extra-lavorativa ne risente. Già, perché se in un ambito

L’IDENTITÀ È CIÒ CHE SI PENSA DI ESSERE E CHE SI DIMOSTRA AL MONDO ATTRAVERSO FATTI E PAROLE.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy