LEGGE SIRCHIA IL PUNTO 15 ANNI DOPO
Il divieto di fumare nei locali pubblici è stato una tappa fondamentale nella lotta a questa abitudine nociva. Ma c’è ancora molto da fare
L’ introduzione del divieto di fumo nei locali pubblici, disposta dal ministro Girolamo Sirchia nel 2003, ha segnato una vera e propria rivoluzione nel campo della salute pubblica: finalmente chi decideva di trascorrere la serata al ristorante, al cinema o in discoteca non era più destinato a immergersi in un terribile aerosol di nicotina; i pendolari non dovevano più respirare fumo in treno al mattino presto e, nei luoghi di lavoro, non bisognava più affidarsi al buon cuore dei colleghi per evitare le loro sigarette. Insieme alla drastica diminuzione del fumo passivo iniziò a calare anche il numero dei dipendenti dalle “bionde”: nel 2003, secondo l’Istat, si dichiarava fumatore il 23,8% degli italiani e la quota è progressivamente scesa fino ad arrivare al 19,2% nel 2016.
IL CIRCOLO VIRTUOSO SI È FERMATO «L’anno scorso, però, abbiamo ingranato la marcia indietro e la percentuale è risalita al 19,8%. Circa 6,5 milioni di uomini e 4,3 milioni di donne», ammette Fran- cesco Schittulli, oncologo, presidente nazionale della Lilt (Lega italiana lotta ai tumori), in prima fila contro il tabagismo. Che cosa è successo? «La legge era stato un ottimo punto di partenza, che faceva ben sperare. Ma doveva essere il primo tassello di un cambiamento culturale improntato alla salute, invece l’attenzione dei media e della politica è andata scemando. Come se ancora non fossero evidenti i danni di una sigaretta, con le sue 4000 sostanze tossiche, di cui 42 cancerogene», aggiunge l’esperto. E il campanello d’allarme suona soprattutto per i giovani: oggi fuma il 23,4% degli universitari contro il 20,7% del 2010. E per molti la prima sigaretta arriva già a 15 anni di età, contro una media di 17-18.
I DIVIETI NON BASTANO
In realtà, a livello di legge qualcosa si è fatto. Un decreto del 2016, che recepiva una Direttiva europea, ha inasprito le norme su vari fronti, come il divieto di fumare in auto in presenza di minori e donne in gravidanza o l’abolizione dei pacchetti da 10 sigarette, per disincentivare il fumo saltuario dei giovani. Ed è in vigore da decenni la proibizione assoluta all’interno delle scuole e attorno agli ospedali. Solo che viene regolarmente aggirata. In molte scuole superiori i presidi chiudono un occhio, e anzi allestiscono zone apposite per i fumatori. «Questo non va bene, al pari di tante zone smokefree simili a camere a gas, come quelle che si vedono nei Terminal degli aeroporti», conclude il presidente Lilt. «Ma è la dimostrazione che il divieto, da solo, non basta. Bisogna insistere nello spiegare i danni del tabacco e la scuola potrebbe avere un ruolo chiave se fosse introdotta anche l’educazione alla salute, accanto a quella civica».