Starbene

Anche tu hai la sindrome di Calimero?

È quella tendenza a lamentarsi perché ci si sente sfortunati. Ecco le soluzioni per uscirne e per arginare chi ne soffre

- di Mariateres­a Truncellit­o

Non fai in tempo a dirle buongiorno, che comincia a lamentarsi: malanni, discussion­i coi figli, mugugni contro qualche collega... Capitano tutte a lei! Chi non conosce qualcuno che somiglia – nel male – a Calimero, il pulcino nero della réclame che si sentiva perseguita­to solo perché “piccolo e nero” e concludeva “è un’ingiustizi­a, però”? Nessuno mi ama, nessuno mi rispetta, sono sfortunato, è tutta colpa mia... E via compiangen­dosi. «Il lamento di per sé non è negativo», commenta Daniela Zizzi, psicologa e psicoterap­euta, presidente dell’Associazio­ne Aspic counseling e cultura di Taranto. «Ha un’antica funzione rituale: esprimere il dolore alla comunità. Ed è anche il modo con cui i neonati e i bambini chiedono aiuto. Per gli adulti, è il segnale che c’è qualcosa che non va e, di conseguenz­a, un modo per canalizzar­e le energie verso nuove soluzioni e scelte. Il problema nasce quando la tendenza a fare la vittima si trasforma in vittimismo, quando il lamento diventa automatico, reiterato e plateale». Ci sono persone che si lamentano di continuo, per tutti i motivi e senza accorgerse­ne, per una sorta di predisposi­zione. «Quando la sensazione di essere costanteme­nte “prede” di soprusi e la sfiducia negli altri diventa uno stile di vita, possiamo parlare di sindrome di Calimero», aggiunge la dottoressa Zizzi.

NASCE DALLA SCARSA AUTOSTIMA «Bisogna, quindi, distinguer­e le lamentele attribuibi­li a difficoltà reali da quelle distruttiv­e di chi vive i normali problemi quotidiani, come un’ingiustizi­a nei suoi confronti», sottolinea Saverio Tomasella, psicoanali­sta a Nizza e autore del nuovissimo La sindrome di Calimero (Sperling & Kupfer editore). «Il mondo ci porta spesso a confrontar­ci con molte iniquità reali, grandi o piccole. Solo che il vittimismo non tiene in consideraz­ione quest’eventualit­à perché è un modo di considerar­si che porta a personaliz­zare tutto (“mi succedono cose negative perché sono piccolo e nero”, e non perché la vita è ingiusta, a volte, e lo è con tutti)». Ecco, alla base della sindrome di Calimero c’è un’autosvalut­azione. Spiega la dottoressa Zizzi: «Chi ne soffre ha una visione negativa di sé, è una persona passiva, non è capace di dire “no”, non accetta le critiche e allo stesso tempo non si adatta facilmente alle nuove situazioni». Ed è una persona infelice. «Quando qualcuno si lamenta senza ragioni apparenti, è perché soffre di

CHI TENDE A FARE LA VITTIMA È UNA PERSONA PASSIVA CHE NON SA DIRE DI NO, NON ACCETTA LE CRITICHE, NON S’ADATTA FACILMENTE ALLE NUOVE SITUAZIONI.

un male reale più profondo: può essere un lavoro che non corrispond­e al suo desiderio, un matrimonio forzato, genitori troppo pesanti, una malattia affaticant­e», avverte il dottor Tomasella.

È UN SEGNALE DI IMMATURITÀ Questa tendenza comportame­ntale, comunque, non è così disinteres­sata. «Al vittimista, infatti, non preme tanto risolvere l’ingiustizi­a sbandierat­a, quanto usarla nelle relazioni per ottenere ascolto, protezione e indulgenza», riprende la psicoterap­euta. «Si tratta di un modo immaturo, per lo più inconscio, di affrontare la realtà». Se tutti se la prendono con me perché “sono piccolo” (e non c’è modo di cambiare la mia realtà “diventando grande”), in fondo posso anche adagiarmi nella situazione. «È la radice del problema», conferma il dottor Tomasella. «Continuerò a lamentarmi tutto il tempo, a rischio di essere infelice, annoiare i miei cari e scoraggiar­e gli amici più disponi- bili. Quando invece sarebbe necessario cambiare la visione di noi stessi e della vita, realizzare i nostri sogni o, almeno, praticare attività che ci motivano».

FA FUGGIRE GLI AMICI

Tra l’altro, i gemiti sono pesanti per chi li ascolta: mettono a dura prova il buonumore dell’altro, la sua buona volontà e sembrano reclamare, esigere o addirittur­a imporre la compassion­e di tutti. In altre parole, il pulcino nero finisce per somigliare a un vampiro che succhia l’energia del mondo, alla lunga provocando reazioni ostili nelle persone che ascoltano. E anche per lui le conseguenz­e sono tutt’altro che positive. Per la mente e per il corpo.

HA EFFETTI NEGATIVI SULLA PSICHE «Alcuni studi, realizzati con tecniche di neuroimagi­ng, confermano che lamentarsi attiva gli stessi circuiti cerebrali che vengono utilizzati per trovare soluzioni ai problemi», spiega la dottoressa Zizzi. «In pratica, nel momento in cui la loro attività è impegnata a oltranza nella lagnanza, la qualità di elaborazio­ne del problema si abbassa. Il lamento, proponendo sempre gli stessi temi e non cercando soluzioni, riduce la nostra abilità creativa nel trovare nuovi rimedi».

METTE A RISCHIO LA SALUTE

«Oltre a minare le relazioni sul lavoro, in famiglia, con gli amici e a impedirci

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