La forza della psicologia positiva
Si moltiplicano i corsi e i libri che ci insegnano a sorridere. In occasione della Giornata della felicità ne parliamo con Terenzio Traisci, lo “psicologo del buonumore”
Che cos’è la felicità? Le risposte a questa domanda potrebbero essere migliaia, ma da qualche anno, tra queste, ce n’è una che le riunisce tutte: la felicità è uno scopo fondamentale dell’umanità. Lo ha sancito l’assemblea generale dell’Onu nel 2012, istituendo la Giornata internazionale della felicità, che ogni anno viene celebrata il 20 marzo. La felicità è un diritto di tutti, dunque, ma come si conquista? Di questo si occupa con successo la Psicologia positiva che, arrivata dall’America, si sta diffondendo sempre di più anche in Italia. Ne parliamo con Terenzio Traisci, “psicologo del buonumore”.
Una recente ricerca ci dice che siamo abbastanza contenti (il 68% degli uomini e il 64% delle donne) e, dovendo attribuire un voto da 1 a 10 alla nostra vita, indichiamo mediamente un 7,3. È un buon risultato?
«Non mi concentrerei sul risultato, ma sulla domanda che lo ha prodotto. Chiedersi se siamo felici ci limita l’orizzonte, perché o lo sei o non lo sei. Ma ognuno di noi ha dentro di sé i semi di questa emozione, perché è o è stato soddisfatto della propria vita, quindi si tratta di recuperare quegli elementi che ci fanno stare bene, cercando di migliorarci. La domanda da farsi, allora, è: come posso essere più felice e aumentare questa emozione fondamentale per il mio benessere?
La Psicologia positiva, cui lei è legato, si occupa proprio della ricerca della felicità. Ma cosa significa essere felici?
«Secondo Martin Seligman, l’americano fondatore di questa branca della psicologia, felicità è un mix di tre elementi. In primis il piacere, cioè quell’insieme di sensazioni positive che nascono dallo stare a contatto con qualcosa che ci piace. Alla gratificazione sensoriale dobbiamo aggiungere un “significato”: trovare un senso in ciò che facciamo contribuisce a renderci felici. Infine, il coinvolgimento, la condivisione con gli altri. Le relazioni amplificano il senso di benessere: se vissuta insieme ad altre persone, la felicità vale doppio».
Come si raggiunge questo stato di grazia?
«Intanto sapendo che all’origine della felicità c’è un preciso stato d’animo: il buonumore, che ha una base chimica, legata alla produzione di serotonina. Le neuroscienze hanno dimostrato che fare sport, praticare un hobby, imparare cose nuove e leggere favoriscono il rilascio di serotonina, il neuro trasmettitore che, oltre a regolare l’umore, stimola attenzione, concentrazione e memoria. In poche parole, quando siamo di buon umore, il nostro cervello funziona meglio. Inoltre, è molto importante ricordare che la felicità è autonoma, cioè non è legata a qualcuno o a qualcosa. Se pensiamo che da un certo lavoro o una certa persona possa dipendere la nostra soddisfazione, sbagliamo. La felicità dipende da noi stessi, dalla capacità di coltivare bei ricordi, instaurare abitudini che ci fanno stare bene e provare gratitudine.
Quindi dobbiamo pensare positivo?
«Pensare positivo vuol dire tutto e niente. Secondo la Psicologia positiva, significa usare l’intelligenza in modo funzionale, non per ignorare le difficoltà, ma per essere nelle condizioni di serenità, lucidità e apertura mentale per affrontarle».
La Giornata della felicità può stimolarci a riprendere in mano la nostra vita?
«Sì, perchè ci ricorda di “ricordarci” della felicità. Perché essere felici, puntare a esserlo, può avere molti vantaggi. Per esempio, aumenta la produttività del 32% in termini di motivazione e di precisione, abbassa il numero di giorni di malattia del 50%, migliora i rapporti sentimentali del 70%, e innalza la creatività. Ma con questa celebrazione si corre il rischio di considerare la felicità come un obiettivo e non come uno strumento».
In che senso?
«La felicità non è un punto d’arrivo, ma una modalità da applicare a ogni aspetto della nostra esistenza. Tutti i giorni. È un’arma in più per risolvere i problemi e una sorta di cuscinetto quando ci troviamo ad affrontare un momento di difficoltà. Perché se sei felice, non euforico, ma in uno stato d’animo calmo, lucido e proattivo, affronti meglio quello che ti accade».
Come s’impara a diventare felici?
«La premessa degli esercizi che propongo nei miei corsi è questa: il cervello è una sorta di navigatore. Sta a noi dargli le coordinate giuste attraverso il pensiero. Se continuiamo a preoccuparci, a pensare a quello che ci ha deluso o rattristato, il cervello continuerà a percorrere quelle strade. Se invece, attraverso delle domande guida, diamo una direzione positiva alla mente, saremo nelle condizioni per ottenere quello che vogliamo. Il primo passo è chiedersi come è una persona felice, a cominciare dalla postura e dall’espressione sul volto, dal respiro. Immedesimiamoci in questa immagine. Poi, coltiviamo i ricordi positivi e mettiamo a fuoco i nostri punti di forza. Infine, ci sono attitudini che incrementano il livello di benessere. Una di queste è la gratitudine. Lo ha dimostrato un esperimento svolto dallo psicologo e ricercatore Shawn Achor in 500 aziende americane: ai dipendenti è stato chiesto di iniziare ogni giornata con una mail di ringraziamento a un collega con cui avevano collaborato il giorno prima. Ebbene, dopo un mese, la loro produttività era aumentata del 30% e il clima aziendale era più sereno e disteso».